Perché certi film sulla disabilità danneggiano l’inclusione
Tranne che per la serie Sex education, appunto, si tratta di storie tutte esistite, non eccessivamente romanzate, che trasmettono un’idea realistica della disabilità, senza edulcorarla e senza eroificare i protagonisti rendendo tutto facile quando, la vita, facile non lo è per nulla se si vivono certe difficoltà.
Sia chiaro, non dico che vadano bene soltanto cose noiose dove si piange, ci si deprime o spaventa. Ma far credere che la routine di un disabile sia quasi tutta rose e fiori al punto da fargli pensare direttamente all’eutanasia solo perché non si può più permettere qualche lusso dei tanti ancora posseduti (penso a Io prima di te), o che l’unico vero problema sia la ricerca di un assistente domiciliare e che, una volta trovato, tutto fili piuttosto liscio nella propria villa senza barriere dove vivere da Re (penso a Quasi amici), è completamente fuorviante e rischia di offendere chi, nelle “stesse” condizioni, ha tutt’altri pensieri quotidiani e si potrebbe sentire minuito.
Questa banalizzazione avviene ancor di più, a parer mio, quando si parla di disabilità mentale o neurodivergenza (che non è una disabilità).
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