L’alfabeto Roth secondo Blake Bailey
A come Aneddoti e Apparato
Cominciamo da qui. Il mastodontico e travagliato tomo di Blake Bailey (Philip Roth. La biografia, Einaudi, traduzione di Norman Gobetti, pp. 1045, € 26) è inutile, cioè no, è pieno di cose interessanti, curiose, buffe. Epperò è inutile, bellissimo e inutile: mi spiegherò alla fine. Intanto fioccano notizie e aneddoti. C’è la storia del romanzo morale alla Joseph Conrad che Roth non terminò mai su un ebreo americano che negli anni Cinquanta va in Germania per uccidere un tedesco a caso. Il b-movie di Roger Corman tratto da uno dei suoi primi racconti. La scena in cui il suo terapeuta interpreta un malessere fisico come psicosomatico, dovuto nello specifico all’invidia verso un libro dell’amico William Styron, e invece Roth rischia di lasciarci le penne perché aveva una peritonite. La stroncatura dell’esimio cabalista Gershom Sholem e la rivelazione che in realtà costui fu un avido consumatore di pornografia. Tutti i rapporti con gli pseudomentori: Bellow che gli soffia una ragazza; Malamud che si accomiata con compunzione dalla stanza dove chiacchierano e infila una porta che dà su uno sgabuzzino; Capote che, invidioso di Portnoy, lo accusa in tv di appartenere a una specie di mafia ebraica (la resa dei conti avverrà in un locale dove Roth lo ferma all’angolo per chiedergliene ragione e Capote sguscia via); le antipatie con Mailer (ma da vecchi si incontrano per caso e si confessano di pisciare spesso nelle cabine telefoniche per incontinenza: ridono). Ma non solo. Le foto sono bellissime. C’è il nonno Sender, il primo a partire verso gli Stati Uniti, con un vestito stazzonato e l’aria tanto felice quanto ingenua. C’è lo zio Milton, talentuosissimo, con gli stessi
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