
A cent’anni dalla morte, le commemorazioni per Enrico Caruso
“Qui dove il mare luccica e tira forte il vento, su una vecchia terrazza davanti al golfo di Surriento”
Sono trascorsi cent’anni, un secolo.
Il 2 agosto del 1921, in una suite del Grand Hotel Vesuvio, moriva Enrico Caruso a soli 48 anni dopo essersi sottoposto in extremis a interventi chirurgici.
Era partito povero e pieno di speranze per trovare fortuna in America ed era ritornato, ricco, famoso ma purtroppo malato.
Fisico prestante, occhi neri e profondi da napoletano verace e passionale, voce di tenore timbrata e penetrante e grande presenza scenica: questo fu Enrico Caruso.
Si esibì nei teatri italiani e in quelli di tutto il mondo, dall’Italia agli Stati Uniti, dal Sudamerica all’Egitto alla Russia, incantandoli con la sua voce. Era nato il 25 febbraio 1873, da una famiglia povera. A Napoli cantano tutti e lui ebbe inizialmente una formazione musicale da dilettante: si esibiva nelle chiese, nei salotti; lo studio serio e rigoroso venne in seguito e portò a maturazione le enormi doti naturali, conferendo al giovane artista tecnica e stile inconfondibili.
“Era in fin di vita quando disse al fratello Giovanni: Giuvà, affacciate ‘o balcone e salutame ‘a muntagna… La montagna era ovviamente il Vesuvio”, ha raccontato Geppy Gleijeses rendendo omaggio a Enrico Caruso con un evento il 2 agosto al Teatro Trianon di Napoli, per il centenario della morte, intitolato “Caruso vive”; reading, musiche e proiezioni, con la partecipazione del tenore Gianluca Terranova e del critico musicale Enrico Giraldi. «Ripercorro la vicenda umana e artistica del “mito” — ha spiegato l’attore napoletano — attraverso un testo di Luciano Giannino, ispirato al libro Ridi pagliaccio! di Francesco Canessa, e Una vita e una leggenda di Pietro Gargano. Inoltre, il pubblico ha sentito la voce del tenore grazie al restauro che abbiamo fatto delle sue incisioni originali, senza le impurità originali».
E da ieri, 2 agosto, la casa natale al civico 7 di via Santi Giovanni e Paolo, il “quartino” come lo chiamava lui, diventa un museo. Fotografie, locandine, cartoline e lettere “amorose” alla sua Ada Giachetti, madre dei suoi due figli, che poi lo tradì con il suo autista. Ma anche caricature disegnate di suo pugno e un grammofono di inizi 900 che trasmette la sua voce senza eguali.
Altre celebrazioni sono state: le suggestioni al Maschio Angioino con lo spettacolo/concerto creato da Federico Vacalebre “Ben tornato Don Enrico”. All’Aperia Reale nei giardini della Reggia di Caserta, il reuccio Vittorio Grigolo ha illuminato “Un’Estate da Re” con E lucean le stelle.
La voce modulatissima ha commemorato, attraverso le arie d’opera più note e le canzoni napoletane più ascoltate, quella potente e unica di Enrico Caruso, al quale è stato intitolato un asteroide e dedicata una stella sul selciato di Hollywood.