Zelensky a Sanremo non serve all’Ucraina ma all’Italia. Scrive Sisci
Quasi ogni paese ha il suo rito collettivo annuale. Gli Usa hanno il Super Bowl, la Cina la vigilia dell’anno nuovo cinese, l’Italia ha Sanremo. Le serate sono nate gradualmente a partire dagli anni ’50, ’60 davanti all’allora nuovo focolare sociale della tv. Danno uno spirito nazionale, costruiscono una identità.
In Italia il festival della canzone napoletana, un tempo popolarissimo e identitario al sud, con Catullo unica voce autentica di poesia della penisola, secondo Mommsen, è stato rimpiazzato dai versi in italiano. Il neomelodico napoletano rimane una nota di colore. Onnipresente in Campania, a livello nazionale è confinato a colonna sonora dei capolavori di Elena Ferrante o alla tesi dell’ex presidente della camera M5s, 1 vale 1, Roberto Fico.
Così ogni focolare collettivo è proiezione, conscia o inconscia, di anima culturale del Paese.
Il Super Bowl è forza, violenza, astuzia della tattica, strategia dello schieramento, ma anche fair game. È un gioco militare.
La serata cinese è l’aspirazione della tradizione, l’opulenza, l’allargamento della famiglia alla nazione e viceversa. Il tutto condito di musiche, danze, colori che distillano
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