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5 consigli per presentare al meglio una startup agli investitori

Prima di iniziare un percorso di fundraising per la propria startup attraverso i molteplici strumenti a disposizione, è importante avere le idee chiare sul proprio stato di maturità, sulle esigenze e sulla somma esatta dei capitali necessari. Tutte informazioni chiave che andranno racchiuse in una pitch presentation, il biglietto da visita del proprio business. Ogni modalità di finanziamento infatti ha caratteristiche precise e richiede anche informazioni diverse, a seconda che si cerchi supporto attraverso un’operazione di equity crowdfunding o un percorso di incubazione, per esempio. Una forma di fundraising molto utilizzata è sicuramente quella dei venture capital, i cosiddetti vc, detentori della fortuna di molti unicorni a livello globale. In quest’articolo cerchiamo quindi di capire meglio come convincere un fondo a finanziare la nostra azienda attraverso un pitch deck ben costruito. Perché i venture capital per una startup Il venture capital è una forma di private equity. O meglio un fondo di investimento che decide di entrare nel capitale di rischio di aziende medio-piccole, attratto dalla loro possibilità di crescita. Ben consapevole che, come in tutti gli investimenti ad alto rischio, ci sia anche possibilità di perdita. Non a caso i capitali che compongono il fondo provengono da investitori professionali come fondi istituzionali, enti previdenziali, enti pubblici territoriali, assicurazioni e banche. È  necessario quindi un procedimento che sia in grado di dimostrare che il soggetto che si vuole finanziare abbia davvero un potenziale guadagno. Nel caso di vc che operano in settori ben precisi, inoltre, l’alto grado di innovazione della tecnologia proposta è una caratteristica imprescindibile. Data l’esplosione del numero di startup in tutto il mondo, anche i fondi di venture capital sono cresciuti notevolmente. Basti pensare che secondo il report Investment Portfolio Insights di LVenture il 2021 è stato un anno da record per gli investimenti, con 671 miliardi di dollari. Un mercato florido quindi, ma anche molto competitivo. Ecco come un pitch efficace può davvero fare la differenza per convincere un fondo della validità del proprio progetto, del proprio team e della propria visione. Ogni vc è alla ricerca ideale del prossimo unicorno e sogna di incontrare la propria Airbnb, come nel caso di Sequoia Capital. Occorre però sempre avere presente che questi fondi raramente investono in una startup ancora in fase di sviluppo del prodotto (pre-seed). Se si sceglie questa forma di finanziamento è infatti molto più efficace presentare il proprio progetto in fase di lancio del prodotto (seed), crescita ed espansione (serie a, b o c)  fino alle fasi preparatorie per l’offerta pubblica iniziale (pre-Ipo). Per i capitali forniti, verrà chiesto in cambio un corrispettivo in equity, quote dell’azienda. Cambiare il mondo con un Pitch Deck Mentre l’elevator pitch è una breve descrizione in cui è necessario far capire a grandi linee di cosa si occupa la propria startup, il pitch deck deve invece essere molto dettagliato. Si tratta della rappresentazione visuale della propria azienda ed è uno strumento importante che deve saper raccontare la propria visione mixando storytelling, dati e informazioni chiave. I finanziatori dovranno trovare al suo interno le risposte alle domande di business per loro fondamentali per scegliere di investire in una startup o meno. Queste possono essere riassunte in 5 punti fondamentali.  Problema-soluzione. Occorre partire da qual è il need che si è identificato e come si intende trovare una soluzione al riguardo, spiegando la propria tecnologia. Devi chiederti perché il tuo prodotto è unico e come sei arrivato a questa consapevolezza. Importante quindi essere bravi a far percepire il senso di bisogno del problema e la validità della propria idea. Value proposition & business model. Che mercato ha la tua soluzione e in quale industry esattamente opera? Bisogna essere strategici e chiari, spiegando settore e modello di business. Nel caso di Airbnb, ad esempio, può essere importante sapere quanto vale il settore del travel ma ancora di più evidenziare altre metriche su cui la soluzione offerta vuole operare un cambiamento, come prezzi migliori rispetto agli hotel, una piattaforma più tecnologica o un’esperienza che sia più da viaggiatore e meno da turista. Mai dimenticare una domanda chiave: come si crescerà tra 3 o 5 anni? Analisi dei competitor. Sempre riguardo al mercato è importante evidenziare il proprio posizionamento anche rispetto ad altri competitor nella propria nicchia di competenza. Se il prodotto è unico, è importante evidenziare quali sono comunque i player che si avvicinano di più ad una soluzione simile. Molte startup tendono a fare l’errore di posizionarsi alti su tutti i livelli analizzati: è importante presentare un pitch onesto, in cui mostrarsi ben consapevoli di punti di forza ma anche di aree di miglioramento. Questo è il momento di accantonare lo storytelling ed essere lucidi sui dati. Go to market. Una parte del pitch deck deve necessariamente essere dedicato al go-to-market evidenziando i propri piani di espansione sul mercato nazionale e internazionale restituendo anche una fotografia di quanto già realizzato. Riflettere su vanity metrics, numero di utenti e crescita organica o a pagamento. Quanto costa in media l’acquisizione di un utente? E ancora, quanto tempo tende a rimanere abbonato al servizio? Tutti strumenti utili per un vc per comprendere al meglio la possibile crescita. Team. Quando si prova a parlare con un venture capital e si è in fase pre-seed, la slide del team è la prima che viene mostrata. Questo perché anche quando non si ha ancora un prodotto realizzato, questa rappresenta un importante forziere di informazioni sui talenti che l’azienda racchiude. Competenze, network, esperienza nel mondo del business, exit precedenti, strategia e diversità: sono tutte caratteristiche che raccontano la squadra al lavoro e possono davvero decretare un buon investimento.  Su quest’ultimo punto basti pensare ad esempi come la raccolta da 350 milioni di dollari realizzata da Adam Neumann, già ex ceo di WeWork.  Uno di quei casi che fanno scuola in cui un venture capital, in questo caso Andreessen Horowitz, decide di finanziare il progetto basandosi su un pitch ben costruito e raccontato. Dimostrandoci ancora una volta che la scommessa di un vc non è solo sull’idea ma sulle persone. L’articolo 5 consigli per presentare al meglio una startup agli investitori è tratto da Forbes Italia.

Le famiglie imprenditoriali italiane puntano sulle società digital e fintech. Lo studio dell’Osservatorio Polimi

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Sono 214 i family office italiani e si concentrano in Lombardia, in particolare Milano: è quanto emerge dall’aggiornamento del censimento condotto dall’Osservatorio Family Office, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con il Centro di Family Business Management della Libera Università di Bolzano. Lo studio analizza caratteristiche e comportamenti delle famiglie imprenditoriali italiane anche attraverso un questionario distribuito in maniera capillare. La ricerca si basa su un rigoroso censimento della popolazione italiana dei family office, il primo condotto in Italia e costantemente aggiornato, e su un questionario somministrato a tutti i soggetti attivi, oltre a interviste dirette e focus group con diversi stakeholder. Cosa sono i Family Office In Italia queste società che forniscono servizi di gestione del patrimonio a una (single-family) o più (multi-family) famiglie imprenditoriali sono un fenomeno relativamente recente, ma sempre più incisivo: i ritorni sugli investimenti nel 2021 sono stati infatti per la maggior parte al di sopra, o molto al di sopra, delle aspettative. Due terzi dei single family office hanno aumentato dal 2020 al 2021 il peso del private equity (in media pari al 14%) nella propria asset allocation, anche se tutti hanno dichiarato di volerlo fare crescere nei prossimi 5 anni. Ma soprattutto, i single family office puntano sempre più la loro attenzione sull’economia reale: sono 94 i deal condotti dal 2016 ad oggi su imprese attive, di cui 67 con valore noto, per un totale di 532 milioni di euro di investimento, di cui 256 milioni solo nel 2021. Si tratta in particolare di aziende dell’Ict, dai portali alle piattaforme digitali, alle società fintech, fondate per lo più nel decennio 2011-2021 o in quello ancora precedente, con sede prevalentemente in Lombardia (56%) e Veneto (il 13%). Anche le considerazioni di natura ambientale e sociale (ESG) iniziano a essere rilevanti nei processi d’investimento e di asset allocation dei family office, tuttavia manca ancora una svolta decisiva verso l’adozione di metriche di finanza socialmente responsabile (SRI), soprattutto a causa dell’incertezza del momento e di una discontinuità troppo forte con la strategia che la famiglia ha perseguito storicamente. I numeri dei Family Office Il fenomeno dei family office in Italia ha registrato un’evidente accelerazione dal 2000: circa 140 dei 214 attualmente censiti (di cui 7 operanti all’estero) sono stati fondati nell’ultimo ventennio, più di 70 solo dal 2011. La grande maggioranza ha sede legale in Lombardia (59%), in particolare a Milano, seguono Veneto (12%), Piemonte (8%) ed Emilia Romagna (7%). Più della metà (52,8%) è rappresentata da multi-family office professionali, strutture formalmente indipendenti, aperte al mercato, che raggruppano professionisti per servizi di consulenza e gestione del patrimonio a più famiglie. Il restante 47,2%, che ha visto un vero boom dall’anno scorso (oltre 10 punti percentuali in più) in continuità con il trend dell’ultimo decennio, è invece composto da single family office, controllati da una sola famiglia che è anche la destinataria dei servizi. Strategia, struttura e organizzazione dei Family Office Dal sondaggio emerge una fotografia precisa dei family office italiani. Il 39% dei single family office serve una famiglia internazionale e la stragrande maggioranza (78%) ha una direzione di tipo famigliare, con in media sei professionisti a supporto di cui due nella gestione direzionale: nel 61% dei casi l’amministratore delegato (o ruolo equivalente) è un membro della famiglia, ha in media 58,8 anni e ricopre la posizione da quasi 14 anni. Il management del family office coinvolge 2 volte su 3 (65%) solo la generazione più senior, appena nel 33% dei casi l’azionariato è multigenerazionale. Più della metà dei single family office ha già in essere, o sta valutando, accordi formali o informali per la continuità generazionale e la successione, benché un 31% non abbia ancora discusso il tema né voglia farlo del medio-breve periodo. La pianificazione della continuità passa prettamente attraverso l’educazione delle nuove generazioni: il 52% dei family office dichiara di aver già definito, in modo formale o informale, piani e programmi per educare alla proprietà responsabile i propri successori, e il 35% li sta valutando. Un altro tema che tocca tutti i family office è quello della protezione dei dati: gli intervistati dichiarano di aumentare di anno in anno il budget destinato alla cybersicurezza, con una crescita sostanziale stimata attorno al 30%. Quanto ai multi-family office, metà di essi servono meno di 10 famiglie clienti, spesso internazionali (circa la metà dei membri hanno residenza o cittadinanza estera) e sono composti mediamente da 25 professionisti, di cui solo 4 hanno un ruolo all’interno della gestione direzionale. L’amministratore delegato (o ruolo equivalente) ha in media 54,8 anni e ricopre la posizione da circa 12 anni. Le dichiarazioni dei responsabili dello studio “Il rapporto family office 2022 approfondisce diverse tematiche rilevanti per le famiglie imprenditoriali italiane", commenta Josip Kotlar della School of management del Politecnico di Milano, responsabile dello studio insieme ad Alfredo De Massis della Libera Università di Bolzano. "La parola che meglio rappresenta il lavoro svolto in questa seconda edizione dello studio è ‘diversità’: spesso si parla dei family office", continua Kotlar, "come un tipo di organizzazioni omogenee, con molte caratteristiche ricorrenti, invece, grazie all’approccio diretto con il mondo dei professionisti e la raccolta e l’analisi di dati quantitativi e qualitativi, possiamo affermare che non è affatto così". "Questa ricerca", aggiunge Alfredo De Massis, "punta a evidenziare che, seppur con velocità diverse, le famiglie stanno diventando sempre più professionalizzate e consapevoli, una spinta accelerata dal Covid e dall’ingresso delle nuove generazioni nella gestione del capitale. I family office sono ottimamente posizionati per diventare un motore importante nello sviluppo economico e sociale del Paese”. L’articolo Le famiglie imprenditoriali italiane puntano sulle società digital e fintech. Lo studio dell’Osservatorio Polimi è tratto da Forbes Italia.