Nel solco di Sturzo, identità e continuità del cattolicesimo politico. E oggi?

Finita la Grande guerra, l’Italia della Vittoria iniziava presto a misurare la distanza tra sentimenti di palingenesi sociale e insufficienze delle istituzioni, con grave disagio dei ceti popolari. Tra l’armistizio con l’Impero Austro-Ungarico (novembre 1918) e l’apertura della Conferenza di pace di Parigi (gennaio 1919) il Paese visse in uno stato di generale eccitazione. I […]

Finita la Grande guerra, l’Italia della Vittoria iniziava presto a misurare la distanza tra sentimenti di palingenesi sociale e insufficienze delle istituzioni, con grave disagio dei ceti popolari. Tra l’armistizio con l’Impero Austro-Ungarico (novembre 1918) e l’apertura della Conferenza di pace di Parigi (gennaio 1919) il Paese visse in uno stato di generale eccitazione. I liberali, rimasti al potere, non seppero dare risposta a questo moto collettivo di speranza e insieme d’inquietudine. Si deteriorò in poco tempo il mito della “guerra vinta” e inziò la scomposizione del vecchio blocco di potere, fino alle tormentate vicende che aprirono le porte all’avvento del fascismo nell’ottobre del 1922.

Luigi Sturzo colse con lucidità l’elemento rivoluzionario che contrassegnava, all’indomani dell’armistizio, il passaggio ad un nuovo assetto dell’Europa e del mondo. Per capire fino in fondo la genesi del Partito popolare occorre riflettere sulla conferenza da lui tenuta proprio a novembre del 1918, quando l’entusiasmo a tutti i livelli impediva di guardare ai grandi problemi emergenti dalla guerra. In quella sede, Sturzo richiamò l’attenzione sulla definitiva chiusura di un ciclo storico, iniziato con la Rivoluzione


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