La filiera avicola è in crisi: oltre 800 milioni di euro bruciati in un anno
«La crisi internazionale, l’impennata dei prezzi delle materie prime e dell’energia e gli effetti della guerra tra Russia e Ucraina hanno fortemente colpito la filiera avicola italiana con una perdita di 800 milioni di euro, ma il settore sta reagendo con senso di responsabilità con una produzione buona e sostenibile». È quanto ha dichiarato Antonio Forlini, presidente di Unaitalia, l’associazione che rappresenta oltre il 90% della produzione avicola nazionale, all’assemblea nazionale svoltasi a Roma, alla presenza delle principali associazioni agricole e del mondo della cooperazione, sul tema dell’avicoltura italiana alla luce del nuovo contesto socioeconomico.
La filiera avicola è in crisi: oltre 800 milioni di euro bruciati in un anno
Oltre 800 milioni di euro bruciati in un anno, di cui 450 solo nella fase agricola. È l’impatto della crisi internazionale, della guerra, del rialzo prezzi delle materie prime e dell’energia sul settore delle carni bianche e delle uova che vale complessivamente 5,9 miliardi di euro (+3,3%). Le stime sono di Unaitalia, che rappresenta oltre il 90% della produzione avicola nazionale, presentate durante l’assemblea alla presenza di associazioni agricole e del mondo della cooperazione
«C’eravamo illusi che il 2022 sarebbe stato l’anno della ripresa post pandemia – ha ripreso Forlini – Purtroppo ci sono vari problemi logistici e di approvigionamento a livello mondiale da affrontare. Ora dobbiamo guardare avanti in un’ottica strategica di medio lungo periodo che significa limitare la dipendenza dall’estero e garantire la nostra capacità produttiva, mettendo in campo tutti gli strumenti possibili, dal Pnrr alla Politica agricola comune (Pac), alle nuove tecnologie».
È in atto un meccanismo speculativo
L’avicoltura è tra i settori più colpiti: nel I trimestre, a fronte di un aumento dei costi produttivi agricoli del 18,4%, per la carne avicola sono stati del 21,1% e per le uova del 50%. A incidere sono i mangimi, che assorbono il 60% dei costi, +33% nel primo trimestre e con un ulteriore +40% ad aprile su base annua. In particolare, solo ad aprile il mais ha segnato +59%, la soia +15% e l’orzo +90%
«Siamo di fronte a dinamiche speculative, in atto da quasi 2 anni, che devono essere fermate», ha ripreso il presidente Forlini.
La Cina, ad esempio, che generalmente assorbe il 25% dei raccolti di mais grano e soia, oggi ha stoccato il 65% delle scorte mondiali di questi cereali. Che ne farà? I dati forniti dal CFTC Usa dimostrano infatti come i rincari su grano, mais e soia siano anche legati all’ingresso, da metà 2020, di investitori ‘non commerciali’ nel mercato delle materie prime. Da allora i prezzi sono arrivati ai massimi storici, con valori raddoppiati rispetto alle medie del 2015-2020. Anche l’Indice IGC Grains&Oilseeds evidenzia una forbice del +80% tra i valori medi del 2015-2020 (1’semestre) e quelli attuali.
A incidere maggiormente è il costo vertiginoso dei mangimi, che assorbono il 60% dei costi di produzione, aumentati del 33% nel primo trimestre 2022 e di un ulteriore 40% ad aprile su base annua. In particolare, solo ad aprile 2022 il mais è cresciuto del 59%, la soia del 15% e l’orzo del 90%. Fino ad oggi il settore ha tenuto testa alla crisi grazie al suo alto livello di integrazione verticale, ma siamo molto preoccupati per il futuro.
«I cambiamenti dello scenario mondiale, a livello sanitario, politico ed economico ci stanno insegnando l’importanza della sovranità alimentare e dell’accesso al cibo – ha proseguito Forlini – E che non possiamo più dare per scontata la nostra autosufficienza, oggi al 108,4%. Dobbiamo limitare la dipendenza dall’estero e garantire la nostra capacità produttiva. Ma anche procedere verso una graduale transizione green che miri ad una sostenibilità durevole ed efficace guardando anche agli aspetti economici e sociali».
Anche l’influenza aviaria ha causato effetti negativi sul settore, che conta 6.000 allevamenti professionali e 64mila addetti (38.500 nella fase di allevamento e 25.500 addetti alla trasformazione) con la produzione nel 2021 di 1.374.000 tonnellate di carne (-1,14% sul 2020), pari al 108% dei consumi.
I numeri della filiera avicola
Le uova prodotte sono state 12,1 miliardi con un tasso di approvvigionamento pari al 97%. Complessivamente il settore vale 5,9 miliardi di euro (4.830 milioni per le carni e 1.070 milioni per le uova). La carne di pollo è più consumata dagli italiani. il 72% lo mangia almeno una volta alla settimana, al pari di carne e pesce, seguita a lunga distanza da manzo (54%), maiale (50%), vitello (46%). Il consumo annuo pro capite di carni bianche è di 21,4 chilogrammi e di 213 uova. Con l’inflazione (+6,2% a maggio su base annua) solo il 2% degli italiani sembra disposta a svuotare il carrello della spesa, ma il 90% è spaventato dall’aumento dei prezzi di prima necessità tanto che il 70% punta a evitare gli sprechi di cibo (dati Ismea).
Varato uno speciale protocollo per la qualità dei prodotti
In quest’ottica Unaitalia e Banco Alimentare si sono unite per dare un aiuto concreto alle famiglie con uno speciale protocollo. «Il settore avicolo – ha detto Forlini – vuole crescere e continuare a produrre alimenti buoni, nutrienti e sicuri, a prezzi accessibile per una platea sempre più vasta di persone, ma serve la stabilità del sistema Paese – un pilastro su cui possiamo contare- e anche la fiducia degli stakeholder».
Antonio Forlini
La filiera avicola è in crisi: oltre 800 milioni di euro bruciati in un anno
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