La fast fashion sta abbandonando il Bangladesh, dopo averlo sfruttato e sottopagato

Il Bangladesh, si sa, è diventato il cuore pulsante del settore globale della fast fashion, secondo produttore al mondo di abbigliamento dopo la Cina. I vestiti prodotti nelle sue fabbriche riempiono gli scaffali qui da noi, da H&M a Gap a Zara. Un’immensa miniera (d’oro?) che negli ultimi tre decenni ha trasformato il Paese da...

Gli ultimi disordini politici potrebbero portare a un calo del 10-20% delle esportazioni quest’anno. Non è una cifra da poco quando le esportazioni di abbigliamento fast fashion rappresentano l’80% dei proventi delle esportazioni del Bangladesh, messo in ginocchio dallo stesso unico settore che – sinora – aveva dato speranza

Il Bangladesh, si sa, è diventato il cuore pulsante del settore globale della fast fashion, secondo produttore al mondo di abbigliamento dopo la Cina. I vestiti prodotti nelle sue fabbriche riempiono gli scaffali qui da noi, da H&M a Gap a Zara. Un’immensa miniera (d’oro?) che negli ultimi tre decenni ha trasformato il Paese da uno dei più poveri al mondo a una nazione a reddito medio-basso.

Bene, ma non benissimo, per quella industria dell’abbigliamento, che vale ad oggi 55 miliardi di dollari all’anno, probabilmente non ha un futuro, anche e soprattutto dopo settimane di proteste che hanno rovesciato il governo di Sheikh Hasina in agosto. Lavoratori e lavoratrici bengalesi da mesi si scontrano con la polizia per l’aumento del salario minimo, ma in centinaia sono stati uccisi


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