Il Risiko dei vaccini anti-Covid. La salute è un fattore geopolitico: anche in pandemia il mondo si muove per aree di influenza

Il governo filippino ha concesso a centinaia di operatori sanitari l’autorizzazione a trovare lavoro in Inghilterra e Germania, se questi due Paesi invieranno vaccini nelle isole.
Il Brasile ha adottato ufficialmente Astra Zeneca, ma ha chiesto aiuto anche alla Cina. La Serbia, che ha adottato il vaccino cinese, è appena sotto l’Inghilterra e la sesta a livello mondiale per numero di dosi per abitanti. L’Ucraina ha ricevuto le prime 500 mila dosi del vaccino Astra Zeneca, ma, nonostante appartenga all’Europa dove c’è una intesa che prevede solo vaccini europei e americani, ha anche fatto patti sia con la Russia che con la Cina.
Nel frattempo, il 25-26 febbraio, a causa dei ritardi a cui stiamo assistendo, si è tenuto un vertice Ue per stabilire nuove strategie per l’approvvigionamento, durante il quale sono state minacciate sanzioni e divieti all’esportazione se si dovesse scoprire che quanto promesso finisce in altre regioni. Qualcuno ha accennato alla possibilità di allargare gli acquisti anche ad aziende diverse da quelle che stanno rifornendoci per ora, ma non si è andati più in là.
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L’impressione è che l’Oms ma in generale le istituzioni internazionali non siano capaci di fare pressione e abbiano una fragilità. Questo permette situazioni poco chiare come la presunta disponibilità di vaccini manifestata al Veneto e all’Emilia Romagna da intermediari, nonostante le aziende produttrici sostengano di vendere solo ai Governi” spiega Antonio Clavenna, farmacologo dell’Istituto Mario Negri.
Il mondo è alle strette. I vaccini che promettevano di riportarci rapidamente al mondo pre-pandemia, stanno procedendo troppo lentamente e sembrano seguire meccanismi che vanno al di là del numero di dosi.
“Dovevamo arrivare a una somministrazione contemporanea a livello globale, perché è una malattia che va affrontata in tutto il Pianeta. Questo non sta avvenendo. La salute è diventata un elemento politico che sembra seguire vecchi schemi e non a caso i paesi Poveri sono indietro sul processo di vaccinazione, visto che non hanno potere di contrattazione”, dice Silvia Mancini esperta di salute pubblica di Medici senza frontiere.
I vaccini in effetti ci sono e sono tanti, ma se si analizza la mappa della distribuzione dei prodotti finora disponibili, non andremmo lontano dalle formazioni del dopoguerra. E’ in atto una sorta di Risiko, dove l’inoculo diventa un mezzo per stringere legami e confermare poteri.
Non sono meccanismi nuovi. L’eradicazione del vaiolo nel 1965 è frutto di una rivalità tra Usa e Unione Sovietica. E nel 2002, a causa della Sars, la Cina ha dato aiuti per confermare il proprio potere, soprattutto su Taiwan.
Pfizer al momento sta arrivando negli Stati Uniti, nel Regno Unito, nell’Unione Europea, Svizzera, Israele, Canada, Messico, Giappone. E stanno iniziando intese con l’India per la produzione locale, che per ora è dedicata solo ad Astra Zeneca.
I vaccini della Sinopharm cinese sono distribuiti negli Emirati Arabi Uniti, Balcani, Macedonia, Pakistan, Cambogia, Nepal, Sierra Leone e Zimbabwe. L’Etiopia ospiterà uno dei siti di produzione alle porte di Addis Abeba. Sinovac, sempre cinese, ha ricevuto ordini da Turchia e Brasile. CanSino, il terzo cinese, ancora in fase tre di sperimentazione, è stato prenotato dal Messico. In generale in Africa la Cina sta implementando una vera e propria infrastruttura di distribuzione. L’India sta donando dosi di Astra Zeneca a Bangladesh, Myammar e Nepal.
Il vaccino russo è stato adottato da chi aveva già rapporti diretti: Bielorussia, Kazakistan, Uzbekistan, Argentina, Bolivia, Algeria, Egitto, Venezuela e Paraguay.
Nonostante tutti siano in situazione di necessità, il mondo sembra dunque essere diviso in aree di influenza che non possono essere infrante, e le trattative non sembrano essere su base etica: prevedono merci di scambio.
Lo mostra bene questa mappa, elaborata dall’Agi e pubblicata all’interno dell’articolo: Geopolitica e Virus, la mappa dei vaccini.
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La produzione dei vaccini, per quanto grande sia, non copre tutti i bisogni della popolazione mondiale, quindi in ogni caso ci sarà una politica distributiva. Con le negoziazioni si stabiliscono migliori rapporti politici, ma sono in gioco anche disponibilità di infrastrutture, gestione di dati e applicazioni di intelligenza artificiale, a cui la Cina è particolarmente interessata. PiùPaesi vengono messi nella rete più vantaggi si ottengono perché le banche dati diventano ricche. In questo modo si usa un farmaco per giocarsi anche un futuro che va ben oltre il Covid, dice Stefano Silvestri consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali.
La Russia non ha ancora fatto richiesta di approvazione all’Ema, ma potrebbe essere dovuto a una sua strategia. Dal suo punto di vista è utile che siano singole nazioni a contrattare perché questo indebolisce le strutture europee. L’emergenza però coinvolge tutti e il fatto che le nazioni si muovano per conto loro è controproducente per la salute. Una guerra tra nazioni per accaparrarsi i vaccini non avrebbe senso. Finirebbe in un nazionalismo della salute”, dice Clavenna.
“C’è una combinazione di fattori interessante: Russia e Cina hanno approfittato di una centralizzazione molto forte della ricerca, accelerato i tempi di sperimentazione e si sono trovati a poter produrre vaccini prima degli occidentali. Questo ha dato loro un vantaggio di margine politico e permesso di continuare una politica di influenza sanitaria che era già iniziata in pandemia con la distribuzione di mascherine e altri supporti. In questo modo apparivano come quelli che portavano il rimedio”, specifica Silvestri.
Gli elementi politici sembrano emergere anche dai comunicati ufficiali.
Per Astra Zeneca era stato detto che non si adattava agli anziani. Poi è uscito un comunicato dell’Oms che ribaltava l’informazione e ne consigliava l’uso per tutti, anche per le varianti. E’ probabile che ciò sia dovuto al fatto che quel vaccino, che è facile da conservare, è l’opzione migliore per i Paesi del sud del mondo. Un’alternativa però c’era già: quella russa e cinese, ma Covax il programma internazionale che ha come obiettivo l’accesso equo ai vaccini anti Covid, è una realtà occidentale. Inoltre ora si dice anche che la seconda dose si può rimandare. E’ vero o corrisponde a un elemento geopolitico che permette a Boris Johnson di recuperare la sua immagine? O di nuovo una concorrenza col vaccino monodose della Johnson? Non è un caso neppure che solo ora si venga a sapere che lo Pfizer può essere conservato a temperature più alte, da meno 25 fino a meno 15 gradi. Come mai non lo si sapeva già dalla sperimentazione? E’ un dato scientifico o un tentativo di adattare il vaccino per evitare la concorrenza?” sostiene Vittorio Agnoletto docente di Globalizzazione e politica della salute all’Università Statale di Milano.
Nonostante gli sforzi siamo nelle mani dei produttori.
L’unica cosa che non viene fatta è mettere in discussione i brevetti. Se non valessero più ci sarebbe invece spinta a collaborazione globale. Se Cuba, che sta per mettere sul mercato i suoi vaccini, li renderà liberi come ha dichiarato, questo potrebbe cambiare decisamente il quadro”, spiega Agnoletto, che è anche organizzatore della campagna Noprofit on pandemic che sta raccogliendo firme  per spingere la Commissione europea a rendere vaccini e cure anti-pandemiche un bene pubblico globale, accessibile gratuitamente a tutti.
L’11 marzo è attesa la discussione in sede Wto per la liberalizzazione delle licenze. Astra Zeneca ha però precisato che non è la condivisione dei brevetti a risolvere il problema, dato che è necessario anche un trasferimento tecnologico. Come dire che anche se non si pagassero le licenze, ci sarà da pagare ben altro.
“La gestione privatistica con distribuzione e produzione centralizzata è insufficiente. Le società farmaceutiche sono più ricche degli Stati a cui devono far riferimento e la loro ragion d’essere è tenersi i diritti. Il quadro però potrebbe cambiare con i nuovi vaccini che stanno per comparire. Dividere la proprietà intellettuale dalla produzione potrebbe essere una soluzione, ma è un delicato equilibrio. E forse il risultato sarà utile per la prossima pandemia”, conclude Silvestri.
Fonte: Buisiness Insider.com

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