Due secoli senza Canova. Tutti gli appuntamenti con il maestro che fermò nel marmo la bellezza

Alle 7.43 del 13 ottobre 1822, all’età di 65 anni, al massimo della sua fama, Antonio Canova si spegneva a pochi passi da piazza San Marco, ospite nella casa dell’amico Floriano Francesconi - il noto proprietario dello storico Caffè Florian - tra campiello San Gallo e il Bacino Orseolo, circondato da tanti amici veneziani. Si trovava a Venezia di passaggio, dopo essersi recato a seguire i lavori del tempio di Possagno, allora in costruzione, prima di fare ritorno a Roma in grande fretta. E fu una fortuna, perché morire a Venezia significò un sontuosissimo corteo d’acqua e la sepoltura a Possagno dopo un pomposo funerale celebrato il 25 ottobre 1822. La città tutta pianse “il gran Canova” come l'ultimo suo grande artista - la cui arte sublime aveva offerto al mondo immortali icone di bellezza assoluta - il collezionista appassionato che, con argute doti diplomatiche, era riuscito a riportare a casa il bottino d'arte depredato dai napoleonici. E così, a due secoli di distanza, lo scultore che Roberto Longhi considerava “nato morto” è più vivo che mai con la sua materia vibrante. Il giovane proveniente da una famiglia di scalpellini, che conosceva l’inglese e il latino, che fece apprendistato a Venezia per trasferirsi a Roma nel 1779 per stregare oggi con i suoi ideali anche l’universo digital-pop attraverso le rivisitazioni di artisti e fotografi contemporanei, da Luigi Spina ad Aurelio Amendola, non solo vantava come committenti Napoleone, i Papi, gli Asburgo, i Borbone e la nobiltà russa, ma riuscì a riportare in terra eroi e divinità. E lo fece con il metodo dei chiodini fissati al gesso che sembra anticipare la riproducibilità tecnica del moderno design.A distanza di duecento anni da quella morte i musei ricordano il grande genio neoclassico che trasfigurò nel marmo la sua epoca, con alcuni appuntamenti da non perdere. Tempio di Canova, Possagno (Tv)Un francobollo e un concerto per Canova. Le celebrazioni a Possagno Canova non dimenticò mai la sua città natale, Possagno, che ne custodisce l’eredità storica e artistica nel Museo Gypsotheca Antonio Canova e nel Tempio che lo scultore donò alla sua comunità d’origine e dove oggi riposa.Oggi, giovedì 13 ottobre, lo scultore sarà ricordato con una messa al Tempio canoviano, con l’apertura straordinaria del Museo Gypsotheca, con la presentazione del francobollo emesso raffigurante il capolavoro La Pace e della moneta coniata per il bicentenario della sua morte, e con un concerto al tempio canoviano, a ingresso libero. Domenica 16 ottobre alle 12.30 la restituzione della Casa natale di Canova, dopo i lavori di restauro e di riqualificazione, precederà la Lectio Magistralis di Vittorio Sgarbi presso il Tempio canoviano e la proiezione del video Canova, la sua musica e la sua danza, realizzato in collaborazione con Contemplazioni e Luca Giardini. Fino all’8 gennaio la Gypsotheca continua ad accogliere la mostra Canova e il dolore. La stele Mellerio. Ideata da Vittorio Sgarbi e curata da Francesco Leone e Stefano Grandesso, con la direzione artistica di Contemplazioni, la mostra trova il suo apice nella ricomposizione, per la prima volta dal loro smembramento, dei due monumenti Mellerio, voluti dal conte Giacomo Mellerio in memoria dello zio Giovanni Battista e della moglie Elisabetta Castelbarco, dopo aver visitato lo studio romano dell’artista. Il percorso abbraccia anche alcuni disegni di Canova inediti, il taccuino canoviano di Possagno, esposto al pubblico per la prima volta dopo il restauro da parte del Museo Canova, e i disegni di Felice Giani e della sua cerchia, in prestito dal Museo del Prado ed esposti per la prima volta in questa sede. Antonio Canova, Cenotafio della Contessa Elisabetta Mellerio, marmo, Palermo | Foto: © Filippo Guerra / Otium (otium.it)Canova, genio europeo, si svela a Bassano L’uomo Canova, il collezionista, il diplomatico, il “viaggiatore” instancabile che dall’Italia raggiunse le grandi corti d’Europa, è al centro della grande mostra Io, Canova. Genio europeo, pronta ad aprire ai visitatori dal 15 ottobre al 26 febbraio ai Musei civici di Bassano del Grappa. Protagonista di un periodo di grandi stravolgimenti storici e politici, tra guerre e rivoluzioni che cambiarono il volto dell’Europa, il maestro, ribattezzato dai contemporanei “il nuovo Fidia”, regalò al mondo la speranza nel futuro attraverso la creazione di un’arte in perfetto equilibrio tra reale e ideale, avvicinando l’uomo al mito e ispirando azioni e sentimenti di armonia e di pace. Curata da Giuseppe Pavanello e Mario Guderzo con la direzione scientifica di Barbara Guidi, organizzata dai Musei Civici di Bassano del Grappa, la mostra intesse un racconto per immagini che, al ricco patrimonio artistico di Canova presente a Bassano, custode di uno dei fondi più ampi e importanti al mondo per lo studio e la conoscenza del grande scultore, affianca prestiti nazionali e internazionali. Il marmo della Principessa Leopoldina Esterhazy Liechtenstein dialogherà con il grande gesso della Religione dei Musei Vaticani, l’imponente Marte e Venere dalla Gypsotheca di Possagno, realizzato per Giorgio IV d’Inghilterra, con l’Endimione dormiente dall’Accademia di Belle Arti di Ravenna.Antonio Canova, Principessa Leopoldina Esterhazy, 1805-1818, marmo, Esterhazy privatstiftung Schloss Esterhazy Historische Sammlungen Non mancheranno i preziosi dipinti di Tiepolo e Moretto da Brescia appartenuti a Canova, o la Deposizione di Paolo Veronese, e la Fortuna di Guido Reni che lo stesso artista ricondusse in Italia nel 1815 grazie a una coraggiosa missione diplomatica. Al maestro, capace di attirare la benevolenza di tanti potenti, Ercole Consalvi, segretario di Stato dalla Santa Sede, aveva infatti affidato il complesso compito di riportare in Italia le opere trafugate dai francesi in seguito al Trattato di Tolentino del 1797. Impresa che Canova seppe condurre giocando d’astuzia e diplomazia. Così mentre Dominique Vivant Denon, direttore del Louvre dal 1802, difendeva i capolavori con le unghie e con i denti, Canova cercava il sostegno di Hamilton sottosegretario del ministro degli Esteri britannico, di Wellington e del cancelliere austriaco Principe di Metternich. Con l’aiuto di soldati austriaci e prussiani fece incursione al Louvre staccando dai muri e recuperando dalle sale buona parte delle opere reclamate dagli Stati pontifici. Il 25 ottobre 1815 un convoglio di 41 carri trainati da 200 cavalli con 249 opere lasciava Parigi alla volta dell’Italia, accolto dalle popolazioni locali in festa. Ospite d’onore della mostra a Bassano è senza dubbio la Maddalena giacente. Il grande marmo riscoperto solo di recente - dopo quasi due secoli, e mai esposto prima in una mostra - sarà mostrato in tutta la sua struggente bellezza.Antonio Canova, Maddalena giacente, Marmo, 1819-1822, United Kingdom, c/o Francis Outred Ltd Collezione privata Canova a Perugia: un itinerario umbro “Formano catena e collezione”. Con queste parole nel 1810 Antonio Canova cercava di dissuadere Napoleone dal sottrarre altri capolavori all’Italia, sottolineando l’importanza del legame che si stabilisce tra le opere e i loro luoghi di origine. Questo pensiero è il filo conduttore della mostra Al tempo di Canova. Un itinerario umbro, in corso a Perugia, tra il MUSA – Museo dell’Accademia di Belle Arti, e Palazzo Baldeschi al Corso. Questa riflessione intorno ai “Canova umbri”, concepita come un viaggio nel tempo, sfoglia fino al 1° novembre oltre cento opere che raccontano “le arti sorelle” fiorite in un’epoca di grandi sconvolgimenti della storia. Ma che rapporti ebbe Canova con l’Umbria? A San Gemini lo scultore fu proprietario di un palazzo con vasti possedimenti, dove intrecciava importanti relazioni con intellettuali e mecenati, in una comune visione dell’arte come educazione ai più alti valori estetici e civili. Inoltre fu proprio lo scultore a donare un significativo numero di gessi all’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia, con la quale intrattenne legami molto stretti. Oltre ai gessi perugini, con le iconiche Tre Grazie e il bassorilievo La danza dei figli di Alcinoo, si possono ammirare in mostra le opere lasciate all’Accademia da Giovanni Battista Sartori, fratellastro di Canova, con la monumentale Testa di cavallo. Nata come modello per il monumento equestre a Ferdinando I di Borbone - tra le ultime opere dell’artista - la scultura tesse un inedito confronto con il calco della testa del cavallo del Marco Aurelio, fatto eseguire da Canova proprio in quella occasione. Antonio Canova, La danza dei figli di Alcinoo. Fondazione MUSA - Museo dell'Accademia di Belle Arti "Pietro Vannucci", PerugiaFidia e Canova. Un confronto a Villa Carlotta Considerato dai contemporanei il “novello Fidia”, Canova si confronta con il suo alter ego ateniese in una mostra in corso fino all’11 dicembre a Villa Carlotta, a Tremezzina. Nella scenografica cornice del lago di Como il percorso Canova, novello Fidia, a cura di Gianfranco Adornato, Maria Angela Previtera ed Elena Lissoni, fa dialogare le opere originali di Canova presenti nel museo con repliche di età romana di sculture greche attribuite a Fidia. La bellezza maschile divinizzata è protagonista nella sala dove si confrontano il canone neoclassico del Palamede di Canova e la Testa di Apollo tipo “Kassel” dalla collezione Farnese, che lo scultore ebbe modo di conoscere fin dal suo arrivo a Roma, quando studiò la famosa figura dell’Ercole Farnese. Antonio Canova, la Musa Tersicore, Villa Carlotta. Courtesy Villa CarlottaI prossimi appuntamenti del Museo Correr Dopo la lectio magistralis di Giuseppe Pavanello, il Museo Correr, che conserva opere sublimi come Orfeo ed Euridice, il giovanile Dedalo e Icaro, oltre a un importante nucleo di disegni autografi, celebra Canova con due attesi appuntamenti. Dal 29 ottobre la mostra Canova e Venezia 1822 – 2022. Fotografie di Fabio Zonta sfodera gli scatti del fotografo bassanese che presentano Canova attraverso la lente contemporanea delle sue straordinarie fotografie. Le immagini mostrano le sculture di Canova cogliendone l’essenza e traghettando il suo genio artistico in un contesto contemporaneo attraverso una fotografia che diventa strumento di interpretazione, diventando essa stessa opera d’arte. Al pari della “carne viva” delle sublimi sculture di Canova, la forza del chiaro- scuro sentenzia il potere dell’immagine di Zonta, che sembra rubare la linfa vitale da quella “carne viva”. Sempre dal 29 ottobre al Museo Correr saranno esposte le medaglie canoviane tratte dal medagliere del museo. Leggi anche:• Canova in Umbria: una storia da riscoprire

Alle 7.43 del 13 ottobre 1822, all’età di 65 anni, al massimo della sua fama, Antonio Canova si spegneva a pochi passi da piazza San Marco, ospite nella casa dell’amico Floriano Francesconi – il noto proprietario dello storico Caffè Florian – tra campiello San Gallo e il Bacino Orseolo, circondato da tanti amici veneziani.
Si trovava a Venezia di passaggio, dopo essersi recato a seguire i lavori del tempio di Possagno, allora in costruzione, prima di fare ritorno a Roma in grande fretta. E fu una fortuna, perché morire a Venezia significò un sontuosissimo corteo d’acqua e la sepoltura a Possagno dopo un pomposo funerale celebrato il 25 ottobre 1822.
La città tutta pianse “il gran Canova” come l’ultimo suo grande artista – la cui arte sublime aveva offerto al mondo immortali icone di bellezza assoluta – il collezionista appassionato che, con argute doti diplomatiche, era riuscito a riportare a casa il bottino d’arte depredato dai napoleonici.
E così, a due secoli di distanza, lo scultore che Roberto Longhi considerava “nato morto” è più vivo che mai con la sua materia vibrante. Il giovane proveniente da una famiglia di scalpellini, che conosceva l’inglese e il latino, che fece apprendistato a Venezia per trasferirsi a Roma nel 1779 per stregare oggi con i suoi ideali anche l’universo digital-pop attraverso le rivisitazioni di artisti e fotografi contemporanei, da Luigi Spina ad Aurelio Amendola, non solo vantava come committenti Napoleone, i Papi, gli Asburgo, i Borbone e la nobiltà russa, ma riuscì a riportare in terra eroi e divinità. E lo fece con il metodo dei chiodini fissati al gesso che sembra anticipare la riproducibilità tecnica del moderno design.

A distanza di duecento anni da quella morte i musei ricordano il grande genio neoclassico


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