Covid: esercenti in piazza in 21 città. Attimi di tensione al Circo Massimo a Roma

Un gruppo di manifestanti ha lasciato il presidio per tentare di andare in corteo verso Palazzo Chigi ma la polizia li ha bloccati.

Alcune centinaia i commercianti che stanno partecipando al sit in al Circo Massimo “Una volta, per tutti” organizzato dalle associazioni: Roma più bella, Ihn (Italian hospitality network), Tni Italia (Tutela nazionale imprese) e Lupe Roma. I primi ad arrivare sono stati i ristoratori maremmani che hanno appeso ad un filo mutande rotte, arancioni e gialle con accanto scritto: “L’Italia a colori ci ha lasciato in mutande ma ora basta”. Sono arrivati dalla Sicilia, da Enna, Piombino e Crema.
Ci sono rappresentanti delle lavanderie industriali, di chef e cuochi che indossano il tradizionale cappello da cucina. C’è anche il movimento artisti italiani proveniente dalla Toscana. I loro slogan, ripetuti ritmicamente, sono “Lavoro, lavoro” e “Riapertura, riapertura”.
Attimi di tensione a Circo massimo al sit in di commercianti arrivati da tutta Italia. Un gruppo di manifestanti ha lasciato il presidio per tentare di andare in corteo verso Palazzo Chigi ma la polizia li ha bloccati. A far desistere il gruppo dal suo intento anche un gruppo di manifestanti che ha ribadito di “non volere atti di violenza”.
Una delegazione di cinque persone, tra i manifestanti dei commercianti, sarà ricevuta a Palazzo Chigi. Lo hanno detto dal palco gli stessi promotori, suscitando anche reazioni negative tra coloro che ritengono più incisiva una ‘marcia’ collettiva fino a Palazzo Chigi.
Gli esercenti hanno manifestato in piazza in 21 città italiane, da Firenze a Napoli e Genova, in contemporanea con l’assemblea straordinaria della Fipe-Confcommercio convocata in piazza San Silvestro, a Roma. “Siamo qui per chiedere di poterci rialzare. – afferma Alessandro Cavo, giovane esercente, collegato da Genova -. Chiediamo una data per iniziare a risollevarci, troppi colleghi sono caduti, troppo i ristori promessi che non sono arrivati”.
“Lavoravo dalle 18 a notte fonda, da quando ci hanno chiuso ho fatturato il 20%, i miei dipendenti sono in cassa integrazione, prendono una miseria e la prendono anche tardi, ho provato a sostenerli il più possibile, ma ora è diventato difficile anche per me – dice Matteo Musacchi, presidente dei giovani imprenditori della Fipe, titolare di un ristorante e cocktail-bar a Ferrara -. Oltre al fatto che stare in casa senza far nulla, per chi è abituato a lavorare 15 ore al giorno porta via di testa”.
Dal palco di Roma poco prima aveva incalzato il governo, ricordando che “ieri i pub hanno riaperto e gliel’hanno detto un mese prima”. “Non ho bisogno – aggiunge – della rassicurazione ‘stiamo per programmare le aperture’, ho bisogna di sapere quando riapro”.
“Vogliamo riaprire in sicurezza, perché la risposta all’emergenza solo con ‘più chiusure’ è ormai una scelta insostenibile dal punto di vista economico e dal punto di vista sociale”. Così il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, intervenendo all’assemblea della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) organizzata in Piazza San Silvestro a Roma. “Abbiamo investito nella sanificazione – ha detto Sangalli -, abbiamo accettato le regole del distanziamento, abbiamo rafforzato l’alleanza con i consumatori, abbiamo difeso i nostri collaboratori. E tutto per poter lavorare in sicurezza”. “Ci impegniamo sugli indennizzi a fondo perduto – ha sottolineato -, che non sono sufficienti e che devono essere rafforzati per dignità e per giustizia”. “Ci siamo impegnati per spostare a lungo termine tutti quei costi, oggi insostenibili, che gravano sulle imprese. Penso alle tasse e alle tasse locali. Penso ai finanziamenti. Penso agli affitti. Penso alle bollette”, ha spiegato Sangalli.
Quando la piazza dell’assemblea degli esercenti a Roma stava smobilitando, ha tirato fuori un piccolo martello e cominciato a rompere piatti e bicchieri, richiamando l’attenzione dei presenti. “Questi sono i nostri cocci. Ho rotto gli strumenti del mio lavoro, se non mi fanno riaprire non mi servono più”. Moreno, un ristoratore toscano, ha manifestato così la sua amarezza per le restrizioni anti-Covid. L’uomo ha poi strappato una tovaglia che si era portato appresso in una borsa, aggiungendo che anche quella non gli sarebbe servita più. Al termine della protesta, ha riposto tutto e, armato di scopa, ha ripulito raccogliendo i cocci.
Secondo la Fipe 30mila imprese hanno chiuso nel 2020, altrettante potrebbero chiudere quest’anno. “Noi donne durante l’emergenza non ci siamo fermate un attimo, e ora siamo cariche per riaprire”, dice Valentina Piccabianchi imprenditrice nel campo del catering. “Il nostro settore – ricorda, Maurizio Pasca, imprenditore pugliese dell’intrattenimento e presidente Silb – è chiuso ininterrottamente da 14 mesi, dal 23 febbraio dello scorso anno, tranne quella piccola parentesi per i locali all’aperto che hanno potuto riaprire d’estate. Il 30% ha chiuso definitivamente, un ulteriore 40% è destinato a chiudere se non si riapre quest’estate. Il nostro settore è criminalizzato, siamo indicati come gli untori della pandemia, ma abbiamo chiuso il 17 agosto e i contagi sono iniziati a risalire a ottobre. Non capiamo i pregiudizi nei confronti di un settore che serve a socializzare e che vale 2 miliardi all’anno”.
Fonte: ANSA.it

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