Come sarà la letteratura del futuro?
Pubblicato nel 1981, all’inizio della sua carriera di scrittore, “Il continuum di Gernsback” è probabilmente il racconto più metaletterario di William Gibson (in Italia apparve nella raccolta pubblicata inizialmente da Urania La notte che bruciammo Chrome, ma anche sull’antologia di fantascienza cyberpunk curata da Bruce Sterling Mirrorshades). Gernsback deriva da Hugo Gernsback, un editore di libri di fantascienza classica realmente esistito, ma il racconto è una storia di allucinazioni, un peculiare tipo di visioni sperimentate dal protagonista, un fotografo incaricato di realizzare un servizio su «architetture futuristiche degli anni Trenta e Quaranta» che finisce per essere così ossessionato da quelle forme da vederle comparire nel suo campo visivo. “Gernsback continuum” si presta a numerose interpretazioni: la prima è quella di essere un racconto sulla fine della cosiddetta fantascienza classica e una specie di segnale di inizio del cyberpunk, la corrente letteraria che all’inizio degli anni ’80 rivoluzionò non solo la sci-fi, ma la letteratura in generale, dando al genere una dignità che forse non aveva mai avuto. La seconda è quella di essere, non si sa quanto volontariamente, una formalizzazione
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