Aspettando il giorno della Memoria, un ricordo dei viterbesi deportati
Era il 12 giugno 1942, giorno del suo tredicesimo compleanno, quando Anna Frank ricevette in regalo il suo Diario.
Non immaginava quante persone lo avrebbero letto ed era ancora ignara di ciò che sarebbe accaduto a lei e alla sua famiglia.
Quando il nascondiglio in cui Anna si trovava con i suoi familiari venne scoperto dai nazisti, infatti, la quindicenne venne deportata ad Auschwitz con la sorella e poi nel campo di concentramento di Bergen Belsen, dove morì di tifo nel marzo del 1945. Della sua famiglia si salvò solo il padre.
Il suo diario rimase come uno sforzo di trovare il Bene e la bellezza della vita contro la perdita, la transitorietà, la morte. Ciò che Anna scrisse rimase vivo in quelle pagine.
Anche a Viterbo delle pietre d’inciampo poste in via della Verità e una targa ricordano alcune famiglie che furono deportate.
“È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo” scrisse Anna Frank nel suo Diario.
Francesco Morelli è un testimone viterbese di ciò che successe nella nostra città in quel periodo: sua cugina Rita Orlandi salvò un bambino di nome Silvano Di Porto, figlio di Letizia Anticoli e Angelo Di Porto.
I genitori di Silvano, che abitavano in via della Verità e vendevano merceria in un negozietto e al mercato, furono arrestati il 2 dicembre 1943, poi deportati e uccisi.
Il bambino si salvò grazie alla signora Rita, vicina di casa, che aveva allora 17 anni, che lo nascose e lo protesse per tanti anni. Fu affidato anche alla nonna, la “Sora Reale”, e alla zia Giuditta. La nonna di Silvano, Reale, si salvò, perché cadde dal camion che trasportava i deportati, fu creduta morta, invece era solo ferita e fu condotta all’ospedale e curata. Il male non è mai inevitabile. Si può scegliere di fare buone azioni nella vita: Rita Orlandi, tanti anni fa, scelse, col rischio di essere uccisa, di salvare un bambino, nato nel 1937, vicino a porta della Verità.
Proprio lì, ancora oggi, al numero civico 19, sono state poste tre pietre d’inciampo e una targa per ricordare queste persone ebree uccise.
La storia non si studia solo sui libri, ma è fatta di testimonianze, di documenti, di emozioni e ricordi. Quando passiamo in via della Verità, fermiamoci anche noi.
La storia di queste persone potrebbe essere la nostra. I muri si costruiscono anche nei cuori, a volte, ma tutti noi possiamo farli cadere. È per non dimenticare, per riflettere su ciò che questa storia potrebbe insegnare, affinché non si ripetano più fatti del genere e per scegliere il bene, che tali episodi meritano di essere tramandati anche alle nuove generazioni.