Jeff Beck è stato anche il padrino del techno blues
Quando finirà la sua storia inizierà la sua leggenda. Questo si dice quando un grande innovatore ci lascia, soprattutto nella musica. Così è stato anche per Jeff Beck: stroncato da una meningite batterica, è stato ricordato da coccodrilli più o meno ispirati che ne ricordano le gesta di chitarrista formidabile, innovatore dello strumento, capace di tirare fuori dalla chitarra “mostri” (un esempio per tutti: il solo allucinante in What God Wants di Roger Waters, dove trasforma la chitarra elettrica in una scimmia vivisezionata che grida di dolore), ma senza “facili” trucchetti alla Adrian Belew & company.
Con l’effettistica sempre mirata e asciutta, tutto il suono usciva dalle mani come da sempre è stato per i bluesman di razza (è evidente nel suo suono modulato l’influenza dei grandi cantanti blues come Blind Lemon Jefferson più che di veri e propri chitarristi). La critica si è prodotta in elogi sperticati alle sue innovazioni: dall’uso del feedback, scoperta casuale che anticipa gli esperimenti di Hendrix, al suo singolare rapporto con i pomelli del volume che usava direttamente come fade out senza passare per pedali
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