Il governo marcia, tra cultura debole e paura forte. La riflessione di D’Ambrosio
Il governo Meloni è in marcia decisa, a ritmo incalzante. Discorsi, interviste, apparizioni pubbliche sono tutte tranquillizzanti. Essi, spesso, rispondono a quello che i cittadini maturi e con buon senso vorrebbero sentirsi dire: fedeltà alla Costituzione e ai Patti internazionali; lavoro assiduo per far quadrare i conti e rispondere alle emergenze socioeconomiche; controllo sociale per abbassare la paura; qualche strizzatina compiaciuta a papa Francesco; impegno per la pace e la crisi ambientale e cosi via.
I fatti, invece, sembrano parlare un’altra lingua, viaggiano su sintonie diverse: la nomina dei presidenti dei rami del Parlamento, non certo scelti tra coloro che si sono distinti per impegno nell’unità del Paese e per alta rappresentatività delle sue componenti; la nomina di ministri e vice e sottosegretari con storie e identità culturali, in alcuni casi anche poco democratiche; previsione di un aumento del debito pubblico; la storia infinita del ponte sullo stretto (con tutti, nessuno escluso, i dubbi che crea praticamente ed eticamente); il discutibilissimo decreto legge sui raduni e, per non tradire la storia leghista, è ricominciata la vergogna anticostituzionale degli
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