Matthew Perry, l’amico ritrovato
Il problema di Matthew Perry è sempre stato l’eccesso di talento. Quando aveva quindici anni, scoprì di averne tre rari: uno per la recitazione, uno per il tennis e uno per il bere. Tutto il resto della sua vita è stato un tentativo di ridurre la lista a un talento soltanto, quello per la recitazione. In realtà, del talento per il tennis non sapeva che farsene già a quindici anni, quando decise di lasciare Ottawa e trasferirsi a Hollywood: pigro com’era, lo sapeva che il caldo californiano gli avrebbe fatto passare la già scarsissima voglia di sgobbare sul campo da tennis. E poi a Hollywood viveva suo padre, l’attore John Bennett Perry, l’uomo al quale Matthew deve la scoperta del suo immenso talento per il bere e la sua infinita propensione alle dipendenze. Come spesso accade tra genitori e figli, Perry Sr. ha trasmesso a Perry Jr. solo la parte peggiore del suo corredo cromosomico: a differenza di Matthew, John Bennett è un alcolizzato «high functioning» al quale basta una boccata d’aria fresca dopo una notte intera di liquori forti per tornare a essere perfettamente e completamente sobrio. Per Matthew, la cosa funziona diversamente. I sei vodka tonic che in quegli anni inizia a consumare come aperitivo non si limitano a essere soltanto «la parte migliore della sua giornata» ma diventano ogni parte della sua giornata: prima di iniziare a bere non riesce a pensare ad altro e dopo aver iniziato non riesce a fare altro. La scoperta dell’alcolismo è per Matthew la scoperta della solitudine autentica, ed è da questa condizione miserabile che il futuro Chandler di Friends scopre – e in parte sceglie – il suo talento: decide
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