Libano, Porto (in)sicuro e senza diritti
In 3 sorsi – La profonda crisi in cui versa il Libano è al centro del drammatico naufragio dei 150 migranti avvenuto il 22 settembre 2022. Oltre 94 corpi sono stati recuperati, altri risultano tuttora dispersi.
1. Libano: in fuga dalla crisi
Il 22 settembre circa 150 migranti, perlopiù palestinesi, siriani e libanesi sono naufragati al largo di Tripoli (Libano). L’evento ha puntato i riflettori sulle condizioni dei rifugiati in Libano, Paese che ospita circa 1,5 milioni di siriani e 13.347 di altre nazionalità. A questi si aggiunge la comunità palestinese, che secondo l’UNRWA ammonta a circa 479.000 persone. Il Libano, tuttavia, non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra del 1951, di fatto rifiutando di riconoscere i diritti ad essa collegati. Ad oggi i rifugiati palestinesi e siriani non hanno accesso alla cittadinanza ed è loro precluso l’accesso ai diritti sociali di base, quali scuola e sanità, nonché al possesso di immobili. Le già difficili condizioni di vita sono poi deteriorate dalla profonda stagnazione economica che il Paese sta affrontando. Tali effetti non ricadono solo sui migranti, considerato che anche i libanesi decidono di emigrare a causa della grave crisi sistemica. Il Libano, che nasce come esperimento di convivenza pacifica in una regione fortemente instabile, è pertanto diventato un porto insicuro sia per i rifugiati che per gli stessi libanesi.
Fig. 1 – Alcuni uomini libanesi guardano verso il mare al confine con la Siria mentre i parenti aspettano che i soccorritori riportino i corpi di alcuni dei profughi annegati nel naufragio di giovedì 22 settembre 2022
2. Tra terra e mare, nessuna stabilità per i rifugiati
Sono trascorsi quarant’anni dalla tragedia di Sabra
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