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Faccia a faccia con la morte, a casa di Hugo van der Goes

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Uno dei massimi capolavori dei Primitivi fiamminghi nasce a nuova vita grazie a un intervento di restauro durato cinque anni. Splendente di colori mai visti a memoria d’uomo, La morte della Vergine di Hugo van der Goes torna al pubblico in una grande mostra nell’antico Ospedale di Bruges, oggi sede del Museo Memling. Dal 28 ottobre al 5 febbraio, oltre settanta opere riunite da tutta l’Europa dialogheranno con il gioiello di van der Goes: dipinti di grandi maestri dell’epoca - Hans Memling, Jan Provoost, Albrecht Bouts, Petrus Christus - ma anche sculture, preziosi manoscritti miniati e perfino brani musicali, selezionati per condurre i visitatori in una suggestiva esperienza di Faccia a faccia con la morte, che dà il titolo all’esposizione. Jan Provoost, Dittico con Cristo portacroce e ritratto di frate minore (retro), 1522, Musea Brugge © Musea Brugge - Art in Flanders - Hugo MaertensSei capitoli, ciascuno con un tema diverso, scandiranno il percorso della mostra che si muove in equilibrio tra passato e presente, attualizzando il dipinto van der Goes con il contributo di sei “nuovi maestri”. L’artista Berlinde De Bruyckere, il poeta e autore di bestseller Ilja Leonard Pfeijffer, la scrittrice e medico Sholeh Rezazadeh, il regista e direttore dell’International Theatre di Amsterdam Ivo van Hove, la coreografa e danzatrice Anne Teresa De Keersmaeker sono stati chiamati a esplorare un dipinto che, ancora oggi, ha il potere di commuovere, intrigare e ispirare chiunque lo guardi. "Faccia a faccia con la morte", allestimento al Museo Memling I Courtesy VisitFlandersDopo il restauro, La morte della Vergine si svela in tutta la sua bellezza, rendendo giustizia a un artista, Hugo van der Goes, di cui si sa molto poco, ma che ai suoi tempi è stato tra i più richiesti nelle Fiandre insieme a Jan van Eyck e Hans Memling. Finalmente libero dalla patina del tempo, il dipinto offre allo sguardo i suoi mille dettagli: dai volti degli apostoli, meravigliosamente caratterizzati uno per uno, all’ambientazione architettonica, fino alla vibrante tavolozza. Ma non finisce qui. Hugo van der Goes, Morte della Vergine Maria. Photo Dominique Provost I Courtesy Musei di BrugesI lavori di restauro hanno rappresentato un’occasione per approfondire la conoscenza dello stile, dell’iconografia e dei processi creativi del maestro fiammingo. Le scoperte emerse da queste ricerche sono parte integrante della mostra, dove le ultime acquisizioni sulla Morte della Vergine si nutriranno di un innovativo confronto con importanti opere in prestito da prestigiosi musei internazionali.  Hans Memling (1433 circa - 1494), Dittico di Maarten van Nieuwenhove, 1487, Olio su pannello di quercia, 41.5 x 52 cm (Ciascun pannello), Bruges Sint Jaanshospitaal-MemlingmuseumLeggi anche:• I capolavori di Hans Memling con l'esperto Till-Holger Borchert• Il più antico ospedale d'Europa: il Museo Memling a Bruges• Bruges da scoprire: dai Primitivi fiamminghi ai silenziosi giardini• Quando Bruges era la capitale del commercio internazionale, come oggi New York

La Collezione Mattioli al Museo del Novecento: il racconto dei protagonisti

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Il momento è arrivato: da domani la straordinaria Collezione Mattioli, tra le prime al mondo per le opere del Futurismo, sarà esposta al Museo del Novecento. Per anni gli eredi di Gianni Mattioli hanno cercato di collocarla in un museo di Milano e di realizzare così il desiderio del collezionista, ma non è stato semplice. Poi l’accordo, siglato nel settembre 2021 tra Giacomo Mattioli e Palazzo Marino: le 26 opere della raccolta, dichiarata indivisibile già nel ’73 perché “di eccezionale interesse artistico e storico”, sono state concesse in comodato per cinque anni al Museo del Novecento.  Finalmente, potremo ammirare dal vivo dipinti come Mercurio passa davanti al Sole di Giacomo Balla, L’amante dell’ingegnere di Carlo Carrà, Bottiglie e fruttiera di Morandi, e la strepitosa Ballerina blu di Gino Severini dialogherà la Ballerina bianca, già nelle raccolte del museo dell’Arengario. Nella Galleria del Futurismo riallestita per l’occasione, un posto speciale è riservato alle opere di Umberto Boccioni: il percorso di visita si aprirà infatti con la scultura Forme uniche della continuità nello spazio e si chiuderà con Materia, rivoluzionario ritratto della madre dell’artista. Ed è proprio durante la lavorazione del documentario FORMIDABILE BOCCIONI, scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà, diretto da Franco Rado e prodotto da ARTE.it Originals con ITsART e Rai Cultura, ora disponibile sulla piattaforma ITsART, che abbiamo incontrato due protagonisti centrali di questa vicenda: Giacomo Mattioli, nipote del grande collezionista Gianni, e Danka Giacon, curatrice del Museo del Novecento. Ecco che cosa ci hanno raccontato. Da sinistra: Fortunato Depero, il giovane Gianni Mattioli (al centro con il berretto) e Filippo Tommaso Marinetti I Public Domain Wikimedia Commons“Mio nonno iniziò a comprare quadri nel secondo dopoguerra, ma fu amico dei Futuristi per tutta la sua giovinezza”, ricorda Giacomo Mattioli: “Era un ragazzo povero, scappato di casa a 16 anni. Nei Futuristi, e in particolare in Fortunato Depero, trovò quasi la figura di un padre. Amava i Futuristi perché rappresentavano la modernità, la rottura con i valori borghesi tradizionali che lui non sopportava in quanto protestante e figlio di genitori separati. Ma non aveva soldi per comprare i dipinti, faceva fatica a mangiare. Nel dopoguerra cominciò come tanti collezionisti milanesi: erano appassionati d'arte, erano amici degli artisti, e investivano in opere d’arte. A differenza di altri, tuttavia, Mattioli pensava che una collezione dovesse avere anche uno scopo sociale”. Come mai?“Era un'idea che aveva maturato durante la guerra insieme a Fernanda Wittgens, sua cugina, amica e in seguito soprintendente di Milano, con la quale era riuscito a salvare diversi ebrei dalla deportazione. Mattioli era rimasto profondamente colpito dalle stragi dei nazisti, specie da quella di Meina che visse in modo molto drammatico. Pensava che l'arte potesse aiutare le persone a rimanere più umane, più vere. Così con Fernanda accesero quella che chiamavano ‘la fiaccola dell’arte’. Mattioli prese in affitto un appartamento in via Senato, che apriva personalmente al pubblico il sabato, la domenica o su richiesta, per mostrare alle persone cose che non erano ancora nei musei . Aveva capito che il Futurismo e la Metafisica sarebbero stati i due movimenti protagonisti dell'arte moderna italiana. Non a caso costruì la collezione in pochissimo tempo, segno che aveva le idee molto chiare sulla storia dell'arte all’inizio del Novecento”.Suo nonno ha compreso il valore del Futurismo prima dei critici e degli storici dell’arte…“Mio nonno aveva capito che il Futurismo poneva una domanda teorica fondamentale: che cosa è arte? Che cosa significa fare un'opera d’arte? I Futuristi erano stati i primi a chiederselo, anticipando un po’ tutte le avanguardie del Novecento. Mattioli aveva iniziato come giornalista ed era interessato al rapporto dell'arte con il pubblico, con la società. Il Futurismo era la modernità perché parlava a tutti, aprendo l’arte a nuove domande”.Un'immagine del documentario "FORMIDABILE BOCCIONI": Giacomo Mattioli con un dipinto della collezione del nonnoTra i capolavori della Collezione Mattioli c’è Materia, il dipinto di Umberto Boccioni che da domani chiuderà la Galleria dei Futuristi al Museo del Novecento…“Mio nonno comprò Materia perché lo considerava il grande capolavoro, l’opera simbolo di Boccioni. Fu un'operazione molto difficile ed economicamente impegnativa. Poi comprò quei Boccioni legati alla grande esposizione nel 1912 a Parigi. Cercò di acquistare almeno un'opera di ciascuno degli artisti che avevano esposto alla Galerie Barnheim Jeune: Solidità nella nebbia di Russolo, la Ballerina di Severini…”. Dopo un lungo percorso, la Collezione Mattioli ha trovato casa a Milano. Nelle sale del Museo del Novecento potrà finalmente parlare a un vasto pubblico come desiderava il suo fondatore…“Ne sono molto contento, perché mio nonno fu anche protagonista dell’arrivo del primissimo nucleo di opere dei Futuristi nei musei pubblici milanesi. Sto parlando della raccolta di Felice Azzari, un futurista vicino a Depero che morì suicida. Negli anni Trenta Mattioli fece da intermediario nell’operazione tra il padre di Azzari, il Comune di Milano e l’industriale di Torino Ausonio Canavese, che accettò di comprare le opere e di donarle alla città”. “Oltre a essere la città di Mattioli, Milano ha giocato un ruolo da protagonista nell’arte del XX secolo, in particolare delle avanguardie a partire dal Futurismo”, osserva Danka Giacon, curatrice del Museo del Novecento. E per una fortunatissima coincidenza, Piazza Duomo - dove ha sede il museo - è stata il cuore della vita dei Futuristi in città. “Intorno a Piazza Duomo”, prosegue la curatrice, “c’erano i principali luoghi di ritrovo degli artisti del movimento: il Caffè Salvini e la Pasticceria Marchesi, dove si riunivano a discutere animatamente, le prime gallerie, la Società della Famiglia Artistica, che supportava gli artisti non ancora affermati. In Piazza Duomo si trovava anche lo studio di Gaetano Previati, che per la generazione dei Futuristi fu un grande maestro e un punto di riferimento. Sappiamo per esempio che Umberto Boccioni era solito frequentarlo…”.Dal documentario "FORMIDABILE BOCCIONI": la curatrice Danka Giacon nella Galleria del Futurismo del Museo del NovecentoIl Museo del Novecento dispone da sempre di una raccolta di opere futuriste di eccezionale valore…“Il Museo del Novecento ha la fortuna di raccogliere una collezione unica al mondo di opere d’arte futuriste, in particolare di Umberto Boccioni: è la collezione pubblica che conserva il maggior numero di opere dell’artista. La raccolta, in realtà, ha iniziato a formarsi all’inizio del XX secolo, ben prima della nascita del museo. Il primo dipinto fu il Ritratto della signora Virginia, proprio di Boccioni, acquisito per la GAM intorno al 1916. Un’opera dai modi ancora divisionisti, perché era sì, audace, comprare a quel tempo i quadri di un artista d’avanguardia, ma si preferiva ancora la pacatezza di un soggetto riconoscibile. I veri capolavori futuristi entreranno in collezione negli anni Trenta grazie al lascito Canavese. Nello stesso periodo, con l’intermediazione di Marinetti, il Comune di Milano acquisisce due bronzi fondamentali di Boccioni: Forme uniche della continuità nello spazio e Sviluppo di una bottiglia. Marinetti, che aveva ereditato i modelli in gesso delle sculture, era riuscito grazie a una sovvenzione pubblica a realizzare le fusioni nella fonderia Battaglia di Milano. Degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, infine, sono l’acquisto dell’importante collezione di Riccardo e Magda Jucker, con opere fondamentali come Elasticità e il Bevitore, e la donazione di Pina Antonini, con il capolavoro di inizio Novecento Il crepuscolo“.Quale sarà il valore aggiunto dalla Collezione Mattioli nel percorso di visita al Museo del Novecento?“La Collezione Mattioli è una raccolta molto ricca e importante, che aggiunge al patrimonio del Museo del Novecento grandissimi capolavori futuristi. Andrà a dialogare con un’altra importante collezione dello stesso periodo, quella messa insieme da Riccardo Jucker appunto nel secondo dopoguerra”. Umberto Boccioni, Dinamismo di un ciclista, 1913. Collezione Mattioli I Jackrosso, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia CommonsLeggi anche:• I gioielli di Gianni Mattioli: una collezione milionaria in arrivo al Museo del Novecento• Gino Agnese racconta Boccioni, il talento bocciato in disegno che vinse la sfida del Novecento• Boccioni e Vittoria, il futurista e la principessa. Cronaca di un amore fuori dagli schemi• Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galleria Barnheim-Jeune (vendendo un solo quadro)• "FORMIDABILE BOCCIONI": il genio futurista in un docufilm• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo

Virginia Woolf e i giovani di Bloomsbury si raccontano in una mostra

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Era il 1904 quando Virginia Stephen, non ancora Woolf, e i fratelli Vanessa, Thoby e Adrian, rimasti orfani, lasciarono l’altolocato Kensington per trasferirsi nel quartiere di Bloomsbury dove, già l’anno dopo, un nutrito gruppo di giovani donne e uomini iniziò a incontrarsi nell’edificio al 46 di Gordon Square per inventare una vita nuova e libera. Fino al 12 dicembre quel cenacolo nel quale attecchirono nuove forme di vita e di pensiero che avrebbero cambiato i principi vittoriani e il forte spirito patriarcale di cui era ancora intriso il ventesimo secolo, rivivrà a Roma grazie alla mostra Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing Life, un progetto del Museo Nazionale Romano e della casa editrice Electa, realizzato in collaborazione con la National Portrait Gallery di Londra.George Charles Beresford, Virginia Woolf, 1902, stampa istantanea vintage, 10.8 x 15.2 cm, Londra, National Portrait Gallery © National Portrait Gallery, London Il percorso, allestito negli ambienti di Palazzo Altemps - nato come casa nobiliare nel cuore di Roma che ha ospitato prestigiosi salotti letterari e accolto in passato una prestigiosa biblioteca, oltre ad assistere, nella cui chiesa della Clemenza e di Sant’Aniceto custodita al suo interno, alle nozze tra Gabriele D’Annunzio e Maria Hardouin di Gallese nel 1883 - è ideato e curato da Nadia Fusini in collaborazione con Luca Scarlini. Il racconto delle figure di Bloomsbury prende vita nelle cinque “stanze” - le stesse che Virginia Woolf intendeva come spazi segreti, protetti, nei quali affermare la propria identità e creare la propria libertà - allestite a Palazzo Altemps. E il pubblico è invitato a condividere con i giovani intellettuali che si incontravano nelle stanze delle sorelle Stephen quelle stesse predilezioni artistiche, le relazioni romantiche, le esperienze lavorative innovative, le motivazioni sociali. Tra gli ospiti vi erano anche John Maynard Keynes, che ha rivoluzionato il pensiero economico gettando le basi del welfare state, e Roger Fry, critico e pittore, che ha dato vita a un’altra maniera di guardare e creare opere d’arte. Ma a brillare era Virginia Woolf, la scrittrice che apre al Modernismo, "l’artista che grazie all’accorto uso della lingua costruisce mondi di visione, come i pittori creano mondi di pensiero con il colore e il pennello" come scrive Nadia Fusini nel saggio dal catalogo. Ray Strachey, Vanessa Bell, fine anni ‘20, Olio su cartone, 40.6 x 55.9 cm, Londra, National Portrait Gallery, dono di Barbara Strachey (Halpern, già Hultin), 1999 © National Portrait Gallery, LondonSe la mostra si apre con un esplicito riferimento al saggio di Virginia Woolf pubblicato nel 1929, in una sezione interamente dedicata alla scrittrice inglese, un verso tratto da Pene d’amore perdute di Shakespeare dà il titolo alla stanza dedicata ai personaggi di Bloomsbury, nella quale eccellenti prestiti della National Portrait Gallery di Londra consentono di raccontare le vite di queste persone speciali, eccentrici. E l’amore si percepisce nell’aria come una libertà creativa, che si esprime attraverso le invenzioni decorative che trasformano armadi, tavoli, sedie, poltrone in opere d’arte. Lady Ottoline Morrell, Simon Bussy, Vanessa Bell, Duncan Grant, 1922, stampa vintage al bromuro, 33.7 x 28.6 cm, National Portrait Gallery, Londra, acquistato con l’aiuto dei Friends of the National Libraries e di Helen Gardner Bequest, 2003 © National Portrait Gallery, LondonSe la terza sezione, Hogarth Press, ricostruisce la storia della casa editrice fondata nel 1915 quando Leonard e Virginia Woolf decidono di comprare una pressa, Roger Fry e il post impressionismo guidano il pubblico nella quarta stanza. Il critico d’arte, storico, pittore Roger Fry ha fatto scoprire al suo paese la grande pittura francese moderna. Tra il 1910 e il 1911 porta in mostra a Londra ventuno Cézanne, trentasette Gauguin, venti Van Gogh, tra cui i girasoli, e ancora Picasso e Matisse. Virginia Woolf e molti dei giovani di Bloomsbury riconoscono la portata rivoluzionaria di quei lavori. Ma Roger Fry fece di più. Fu lui a fondare nel 1913 un atelier sotto la direzione di Vanessa Bell e di Duncan Grant, una bottega dove gli artisti creavano in modo anonimo oggetti belli concepiti per portare gioia nella vita quotidiana. Purtroppo l’avventura durerà solo sei anni, spezzata dalla guerra. L’ultima sezione della mostra, Omega Workshops, ricorda questi sei anni che hanno cambiato il gusto del tempo durante i quali la Gran Bretagna ha accolto nel design e nella moda le suggestioni della pittura e dalla letteratura francese. Per raccontare, approfondire e celebrare l’affascinante storia del gruppo di Bloomsbury il Museo Nazionale Romano e la casa editrice Electa con il sostegno dell’Italian Virginia Woolf Society propongono un articolato programma di eventi culturali legati alle tematiche della mostra, mentre Nadia Fusini e Luca Scarlini incontreranno il pubblico a Palazzo Altemps in un ciclo di appuntamenti. Leggi anche:• Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing life

Nel 2023 della Galleria Nazionale dell’Umbria brilla Perugino

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Agostino Chigi lo aveva definito "il meglio maestro d’Italia”. E abile era davvero il maestro di Raffaello, al punto da essere considerato tra i più influenti pittori italiani del suo tempo. Nel 2023 ricorrono i 500 anni dalla morte di Perugino e per l’occasione la Galleria Nazionale dell’Umbria - che lo scorso 1° luglio ha riaperto i battenti dopo un anno di lavori, con un nuovo allestimento e due sale interamente dedicate al grande maestro - si appresta a celebrare uno dei massimi pittori attivi negli ultimi due decenni del Quattrocento. In programma dal 4 marzo all’11 giugno 2023 la mostra, dal titolo “Il meglio maestro d’Italia”. Perugino nel suo tempo, a cura di Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, e Veruska Picchiarelli, conservatrice del museo perugino, restituirà al protagonista assoluto del Rinascimento il ruolo di preminenza artistica che il suo pubblico e la sua epoca gli avevano assegnato all’apice della sua straordinaria carriera. I visitatori potranno ammirare prove capitali della sua produzione antecedenti al 1504. Pietro Perugino, Adorazione dei Magi, 1470-1473, Olio su tavola, 180 x 241 cm, Perugia, Galleria nazionale dell'UmbriaL’iniziativa - che completa idealmente il progetto di analisi storica e critica dell’itinerario creativo di Perugino, iniziato nel 2004 proprio nel museo umbro, che vanta il più considerevole numero di opere del maestro - passerà in rassegna i passaggi fondamentali del percorso del pittore. L’itinerario si snoderà dalle prime fondamentali collaborazioni con la bottega di Andrea del Verrocchio - dove ebbe modo di lavorare fianco a fianco con giovani talenti come Leonardo da Vinci, Domenico Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, Filippino Lippi e, soprattutto, il poco più che coetaneo Botticelli - alle capitali imprese fiorentine che determinarono la sua fortuna. Tra i suoi capolavori le tre tavole già in San Giusto alle Mura, oggi conservate alle Gallerie degli Uffizi, gli straordinari ritratti, le monumentali pale d’altare, come la Pala di San Domenico a Fiesole e la Pala Scarani da San Giovanni in Monte a Bologna. In mostra il visitatore avrà modo di riflettere sul ruolo che il Vannucci ha effettivamente svolto nel panorama artistico contemporaneo, sui legami con i protagonisti del suo tempo, seguendo gli spostamenti del pittore o delle sue opere attraverso l’Italia. Il maestro di Città della Pieve che ebbe il merito di fondere la luce e la monumentalità di Piero della Francesca con il naturalismo e i modi lineari di Andrea del Verrocchio, filtrandoli attraverso la maniera gentile della pittura umbra, lasciò tracce importanti del suo magistero in tutte le località della penisola nelle quali svolse la sua attività, da nord a sud, a cominciare da Perugia e da Firenze, teatri per eccellenza del suo lavoro, nonché sedi delle sue botteghe. Pietro di Cristoforo Vannucci, detto Il Perugino, Madonna col Bambino in gloria e Santi Michele, Caterina d’Alessandria, Apollonia e Giovanni Evangelista (Pala Scarani), 1500 circa, Olio su tavola, Bologna, Pinacoteca Nazionale | Courtesy Pinacoteca Nazionale di Bologna, su concessione del Ministero della CulturaNella cornice della Galleria Nazionale dell’Umbria giganti del Rinascimento come Raffaello e Francesco Francia, ma anche maestri di talento seppur meno noti, come il campano Stefano Sparano o il piemontese Macrino d’Alba, si confronteranno con la produzione del maestro umbro divenuto un fondamentale modello a cui guardare. La mostra rappresenta l’evento di punta delle celebrazioni del centenario, coordinate da un Comitato Nazionale, istituito dal ministero della Cultura e presieduto da Ilaria Borletti Buitoni. A essere coinvolti in una vera e propria partnership scientifica saranno alcuni tra i più importanti musei nazionali e internazionali, come le Gallerie degli Uffizi di Firenze e la National Gallery di Washington,.

133881 John Constable Hampstead Heath with the House called The Salt Box La brughiera di Hampstead con la casa denominata Saltbox ca 1819 20 olio su tela

Dalla collaborazione di Fondazione Torino Musei - GAM con la Tate UK, nasce una grande mostra sul maestro del Romanticismo inglese John Constable. Da oggi, martedì 25 ottobre, fino al 5 febbraio 2023 nella Sala delle Arti della residenza sabauda oltre 50 opere ripercorreranno l’intera carriera di uno dei più significativi pittori britannici: dagli schizzi e dai dipinti di piccole dimensioni realizzati en plein air anticipando il metodo degli Impressionisti, ai vasti paesaggi romantici a olio, fino ai ritratti e alle incisioni. In primo piano, i luoghi di affezione dell’artista, che non si allontanò mai dall’amata Inghilterra e ne rappresentò la natura in chiave pittoresca, a partire dai dintorni del villaggio natio di Dedham Vale, nel Suffolk. A cura di Anne Lyles, John Constable. Paesaggi dell’anima è la secondo tappa dell’indagine sul tema del paesaggio avviata dal museo torinese nel 2021 con l’esposizione Una infinita bellezza. Il paesaggio in Italia dalla pittura romantica all’arte contemporanea. Questa volta la Reggia di Venaria ha scelto di spingersi più lontano e di allargare lo sguardo oltre la Manica, contando sul supporto di un museo che detiene la più importante collezione di opere di Constable esistente al mondo."John Constable. Paesaggi dell'anima", Reggia di Venaria. Foto Luigi De Palma I Courtesy La Venaria Reale “La pittura è solo un altro modo di esprimere un sentimento”, scrisse una volta l’artista a un amico: “Collego la mia infanzia alle rive del fiume Stour. Esse hanno fatto di me un pittore e gliene sono grato”. L’esposizione torinese è un’occasione per ammirare capolavori raramente esposti in Italia, ma anche per apprezzare la grandezza di un artista dall’indole forte e pacata, lontano dall’impeto solitamente associato ai romantici.  A differenza William Turner, l’altro gigante del Romanticismo inglese, che esprime sulla tela l’estetica del Sublime, Constable raffigura una natura accogliente e rassicurante, dispensatrice di serenità.John Constable, The Gleaners, Brighton (Le spigolatrici, Brighton), 1824, olio su carta intelata I Courtesy La Venaria Reale In sei sezioni la mostra ne ripercorre una vita intera, seguendo il filo dei luoghi amati e ritratti sulla tela. In primo luogo la campagna ridente e rigogliosa del Suffolk dove era il maestro era nato e cresciuto: una regione agricola poco battuta dagli artisti, a eccezione del grande Thomas Gainsborough. Lo seguiamo così nella sua lenta affermazione come pittore e nell’elaborazione di un uso molto personale della tecnica a olio, tra tele piccole e medie dipinte all’aperto e quadri monumentali che necessitavano del lavoro in studio. Dopo la nascita dei suoi sette bambini, il trasferimento a Londra lo costrinse a dipingere tra quattro mura, ma Costable non si perse d’animo: continuò a rappresentare campi, nubi e sentieri alberati, affidandosi a una prodigiosa memoria visiva.John Constable, A Cornfield (Un campo di grano), 1817. Olio su tela, Tate UK Ma anche i paesaggi sono destinati a cambiare: le vedute di Hampstead, che allora era un piccolo villaggio alle porte di Londra, le marine di Brighton, dove turisti vestiti alla moda si mescolano ai pescatori, gli scorci della Cattedrale di Salisbury, ci parlano della malattia della moglie, il suo primo grande amore, con cui l’artista aveva costruito una vita felice. Per curare la sua tubercolosi Constable decide di cambiare aria, ma servirà a poco: Mary si spegnerà nel 1828 a soli quarant’anni. A consolarlo dal grande dolore, arriverà finalmente l’agognato riconoscimento di Accademico della Royal Academy, mentre continua a dipingere con pennellate sempre più espressive."John Constable. Paesaggi dell'anima", Reggia di Venaria. Foto Costantino Sergi I Courtesy La Venaria Reale

A Torino, nel mondo di Robert Doisneau

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Centotrenta scatti per celebrare uno dei padri della fotografia del Novecento: preziose stampe in bianco e nero ai sali d’argento sono approdate a Torino dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau di Montrouge, a Sud della Francia, dove per oltre cinquant’anni il maestro ha stampato e archiviato le sue immagini, lasciando un’eredità di 450 mila negativi e un’incredibile mole di stampe d’epoca. Curata da Gabriel Bauret e recentemente inaugurata negli spazi torinesi di Camera – Centro Italiano per la Fotografia, fino al prossimo 14 febbraio la mostra invita a un viaggio completo nel lavoro del grande fotografo umanista e pioniere del fotogiornalismo di strada. Robert Doisneau, Le baiser de l’Hôtel de Ville, Paris 1950 © Robert DoisneauIl Bacio all’Hotel de Ville, che lo ha reso famoso nel mondo, non può certo mancare. Ma è ora di andare avanti e di riscoprire la ricerca di Doisneau in tutta la sua ricchezza, tra scatti celebri e perle poco note che hanno tutte una storia da raccontare.Robert Doisneau, Le vélo de Tati, Paris 1949 © Robert Doisneau/Gamma Rapho “Se c’è qualcuno che adoro, quello è Doisneau”, ha affermato il grande Henri Cartier-Bresson: “L’intelligenza, la profondità di Doisneau, la sua umanità. È un uomo meraviglioso”. Che si tratti di foto realizzate su commissione o durante i suoi vagabondaggi in giro per Parigi, Doisneau ha raccontato il proprio tempo lasciandosi guidare dalla disobbedienza e dalla curiosità, a suo parere “i due requisiti fondamentali in questo mestiere”. Robert Doisneau, Un regard oblique, Paris 1948 © Robert DoisneauA passeggiare insieme a lui erano spesso gli amici scrittori Jacques Prévert, Robert Giraud e Blaise Cendars: “quando trovavo un’immagine pensavo a uno di loro, che poi era il primo a cui la mostravo”, ha raccontato Doisneau: “Un po’ glielo dovevo, perché erano stati loro a insegnarmi a vedere”.Robert Doisneau, L’enfer, Paris 1952 © Robert Doisneau A Torino il suo sguardo libero ed empatico torna a raccontare la guerra e la liberazione, il lavoro, l’amore, i giochi di strada, ma anche l’arte, la moda, la musica. Lungo il percorso della mostra incontreremo personaggi come Yves Montand, Juliette Gréco, Pablo Picasso, e soprattutto schiere di anonimi passanti, portinai, monelli sorpresi nella freschezza del quotidiano, in uno spaccato realistico e insieme poetico di un’epoca e della sua umanità. Robert Doisneau, Le ruban de la mariée, Saint Sauvant 1951 © Robert Doisneau/Gamma RaphoUndici sezioni scandiscono il cammino del visitatore nella Parigi di Robert Doisneau: si parte dai bambini, inesauribile fonte di ispirazione per il fotografo francese, per andare avanti con temi come “Occupazione e Liberazione”, “Il dopoguerra”, “Il teatro della strada”, “Bistrot”, “Una certa idea della felicità”. Un estratto dal film Robert Doisneau, le révolté du merveilleux (Robert Doisenau. La lente delle meraviglie), realizzato nel 2016 dalla nipote del maestro Clémentine Deroudille, invita infine ad andare oltre le immagini per entrare in contatto diretto con il grande fotografo umanista e comprenderne appieno il lavoro.Robert Doisneau, Caniveau en crue, Paris 1934 © Robert Doisneau

Meraviglie su pietra. In mostra a Roma la pittura che sfida il tempo

133831 1 Installation view Ph A Novelli Galleria Borghese

Un’insolita Giuditta in ginocchio, immersa nella preghiera che precede l’esecuzione di Oloferne, illumina il marmo nero belga sul quale Jacques Stella, tra il 1630-1631, ha immortalato la scena. Assomiglia a una martire più che a una carnefice, avvolta da un attento gioco di luci e di riverberi tipico del teatro barocco, mentre tre angeli giocano con l’arma che di lì a poco reciderà la testa del condottiero biblico. In questa suggestiva immagine notturna di Giuditta il bagliore della candela dipinta illumina la protagonista e fa risplendere le trame d’oro dei tessuti, mentre la superficie specchiata della pietra riflette le vere luci dell’ambiente. Meraviglia è davvero la parola giusta per descrivere la mostra che dal 25 ottobre al 29 gennaio la Galleria Borghese dedica alla pittura su pietra a Roma tra Cinquecento e Seicento. E non soltanto per i numerosi capolavori arrivati da musei italiani e stranieri, oltre che da importanti collezioni private. In questo percorso complesso, di ricerca e di scoperta, che trasforma i quadri in autentiche allegorie, l’occhio è invitato, più del solito, a ragionare sui materiali, a captare, scrutare, astrarre e interpretare i significati nascosti dietro le pietre. Basta prendersi un po’ di tempo per entrare a tu per tu con l’opera e associare un significato a un determinato soggetto raffigurato in un’epoca nella quale dipingere su pietra significava rendere eterna la pittura, sfidare il tempo e la scultura stessa. Leonardo Grazia, Lucrezia, Olio su lavagna, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria BorgheseUna necessaria premessa cinquecentesca che testimonia come l’utilizzo di metalli e marmi come supporto alla pittura contribuisse a rendere durevole la memoria di un personaggio caratterizza la prima sezione del percorso, La pietra dipinta e il suo inventore. Così il Ritratto di Roberto di Filippo Strozzi di Francesco Salviati su marmo africano affianca quello di Cosimo de Medici, su porfido rosso, attribuito al Bronzino o anche  il Ritratto di Papa Clemente VII con la barba di Sebastiano del Piombo che conferisce al pontefice, attraverso la durezza dell'ardesia, l’aspetto severo, simbolo di solidità morale.D’altra parte fu proprio del Piombo a riscoprire la pratica della pittura su pietra, già nota agli antichi, prima del sacco di Roma del 1527. Dopo il terribile evento, il pittore e i suoi committenti si illusero che i supporti in pietra avrebbero reso la pittura indistruttibile, quindi eterna.Antonio Tempesta, Perseo e Andromeda (recto), tempera e olio su lapislazzuli, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria BorgheseAll’ingresso del fastoso Salone della Galleria Borghese il ticchettio dell’orologio notturno con Tanatos, le tre Moire e Ipno accoglie i visitatori sfidando il trascorrere del tempo con la solidità del lapislazzulo e la durezza del diaspro. Accanto, lo Stipo Borghese-Windsor in abete e pioppo, intarsio di pietre dure, in origine eseguito probabilmente per il portoghese Luigi Gomez, è uno straordinario esempio di manifattura romana, oggi al Paul Getty Museum di Los Angeles. L’edicola reliquario con l’Adorazione dei Magi con il suo splendore di pietre evoca il fulgore della fede dei santi, mentre nell’Allegoria del sonno di Alessandro Algardi il marmo nero richiama l’oscurità della notte, e così come come la pietra di paragone veniva utilizzata per saggiare la purezza dell’oro, l’opera è ora chiamata a rivelare le abilità dell’artista malevolmente criticato da Bernini per non sapere scolpire. La mostra a cura di Francesca Cappelletti e Patrizia Cavazzini prosegue al primo piano. Alla pietra o al marmo sono talvolta attribuiti poteri. Ed ecco i Talismani o le immagini incorruttibili della devozione, spesso parte degli arredi delle camere da letto dei cardinali, come l’Adorazione dei magi (1605 – 1620) su alabastro di Antonio Tempesta o la Madonna con il Bambino e San Francesco (1605 c.) di Antonio Carracci, dipinta su rame.Antonio Tempesta, La presa di Gerusalemme, Olio su pietra paesina, Galleria Borghese | Foto: © A. Novelli © Galleria Borghese Dalla lavagna al marmo nero, dall’olio su lapislazzulo alla pietra paesina, in mostra l’occhio si imbatte in una resa diversa da quella ottenuta dall’olio su tela. E percepisce la bellezza immortalata con l’olio su lavagna dal pittore toscano Leonardo Grazia, dove l'effetto confettato dell'esecuzione rende levigata la bellezza senza tempo di Lucrezia, Ebe, Cleopatra. Vale la pena soffermarsi nella sezione Dipingere con la pietra che accoglie maestri come Antonio Tempesta e Filippo Napoletano, i più prolifici creatori di opere “fatte dalla natura e aiutate con il pennello”. Tra i loro supporti preferiti spicca la pietra paesina, ricavata dai ciottoli della valle dell’Arno e che, adeguatamente tagliata, può assumere un andamento ondulato o fratturato. Bellissima la Presa di Gerusalemme di Tempesta dove l’artista si adegua alle frammentazioni naturali della pietra e dove minimi tocchi di pennello trasformano queste fratture nell’immagine di una città abbacinante.Che fossero appese ai muri o appoggiate su tavolini, o ancora conservate in scatole, queste pitture su pietra invitavano a essere prese in mano per essere ammirate da vicino. Tra le eroine del mito su pietra ecco infine Andromeda, la "statua d’avorio” cara a Ovidio, dipinta su lapislazzuolo da Antonio Tempesta. “Ricordiamo - spiega la curatrice Patrizia Cavazzini - che l’eroe quasi scambiò la fanciulla per una statua quando la vide incatenata alla roccia, inseparabile da questa, come la sua immagine non può essere scissa dalla pietra su cui è dipinta".Dettaglio da Guglielmo della Porta, Crocefissione, 1550-1577 ca, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria BorgheseAd accrescere la meraviglia senza tempo, che comprende anche oggetti attualmente parte della collezione Borghese, come il Tavolo in pietre dure di ambito romano oppure il Tabernacolo della Cappella, sono le statue con inserti policromi della Galleria, che generano un necessario confronto con i marmi colorati antichi a comporre una sorprendente wunderkammer. “Il percorso - spiega Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese e curatrice della mostra - ci accompagna alla scoperta di una ricchezza nascosta all’interno delle collezioni, ci avvicina a una forma di opera d’arte che si poteva toccare, per osservarla da vicino e con molta attenzione, lasciandosi incantare dall’abilità dell’artista e dall’energia creativa della natura stessa”. Le tante vite della pietra proseguono, sfidano il tempo, ma in modi diversi. Con il subentrare della peste ad esempio le pietre non saranno più dipinte ma frantumate e quel lapislazzulo tanto utilizzato per simulare il mare e il cielo, verrà adesso impiegato per abbassare la febbre. A corredo della mostra il catalogo edito da Officina libraria con introduzione di Francesca Cappelletti e testi, tra gli altri, di Patrizia Cavazzini, Piers Baker-Bates, Elena Calvillo, Laura Valterio, Judy Mann e Francesco Freddolini. Leggi anche:• Meraviglia senza tempo. Pittura su pietra a Roma nel Seicento

Per accendere i riflettori sulla crisi climatica il purè e la salsa dei pomodoro contro i quadri (non) stanno funzionando

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I musei tornano nei mirino degli attivisti per il clima. Ieri ad essere preso di mira il capolavoro impressionista “Il Pagliaio” di Claude Monet, che contro cui è stato scagliato del puré di patate. Protagonisti della nuova protesta avvenuta al Museo Barberini di Potsdam, in Germania, due giovani membri del movimento Letzte Generation, impegnato nella...

Dalla Venezia segreta ai capolavori di Guercino, la settimana in tv

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Dalle tele dei grandi maestri alle mete del belpaese ancora poco battute dai turisti, il viaggio nella bellezza accende anche questa settimana il piccolo schermo. Se su Rai 5 per la terza stagione di Art Rider il dinamico archeologo Andrea Angelucci accompagna il pubblico nella magia di Venezia, la città dove l’acqua e la pietra coesistono, i contrasti di luce e di ombra di Guarcino dominano la programmazione di Sky Arte. Ecco gli appuntamenti da non perdere nella settimana dal 24 al 30 ottobre. Su Rai 5 in viaggio con Art Rider Con il suo taccuino, inseparabile compagno di viaggio, un diario nel quale disegna e dipinge i monumenti e alcuni dettagli delle opere d’arte incontrate durante il suo itinerario, Andrea Angelucci invita il pubblico da casa a un nuovo viaggio con la terza serie di Art Rider. La prima delle nuove puntate, con la regia di Francesco Principini e i testi di Paolo Fazzini e Chiara Vannoni e dello stesso Andrea Angelucci, vedrà il dinamico archeologo appassionato d’arte alla scoperta degli angoli meno turistici di Venezia. Per Andrea la città dove l’acqua e la pietra sembrano coesistere in piena armonia è un luogo ricco di ricordi legati ai viaggi di famiglia, ma anche agli anni universitari. Ed è proprio da un libro letto all’università, Le pietre di Venezia di John Ruskin che inizia il suo viaggio alla scoperta di una delle città più affascinati al mondo, tra le cui le calli si sono incontrati popoli diversissimi rendendo questa magica cornice unica al mondo. Riuscirà Andrea ad accompagnarci, persino a Venezia, alla scoperta di percorsi ancora non battuti dai turisti?Art Rider, Venezia, la pietra e l'acqua | Courtesy Rai 5Su Sky Arte l'Alba di Valerio BerrutiÈ Raffaello – Il Principe delle Arti a inaugurare, lunedì 24 ottobre alle 12.55, la settimana di Sky Arte. L’artista che più di ogni altro incarnò gli ideali di bellezza e armonia del Rinascimento si svela in un viaggio nell’arte che intreccia a raffinate ricostruzioni storiche digressioni artistiche in compagnia di esperti come Antonio Paolucci, Antonio Natali e Vincenzo Farinella. Settanta opere, con commenti esclusivi e punti di vista inediti, sfileranno sullo schermo accanto a storie e personaggi che rivivono attraverso accurate ricostruzioni storiche ispirate a dipinti ottocenteschi che ebbero come soggetto la vita di Raffaello, per una full immersion nell’universo dell’Urbinate. Un salto temporale di 500 anni ci catapulta in Piemonte. Con i suoi 12 metri e mezzo d’altezza, l’Alba di Valerio Berruti, in piazza Michele Ferrero, nella città delle Langhe, si innalza esile in acciaio inox simile a una bambina in ginocchio che abbassa lo sguardo verso chi la osserva. Martedì 25 ottobre il documentario Alba - Valerio Berruti, in prima visone alle 20.40 su Sky Arte, ci guida nell’opera che l’artista di Alba ha realizzato per la sua città, omaggio al geniale inventore della Nutella.Guercino a Piacenza, Duomo Dalla piazza alla tela. Giovedì 27 ottobre alle 21.15 torna la serie di Sky Arte che racconta la vita dei Grandi maestri dell'arte italiana attraverso i loro capolavori. Nella nuova stagione la serie Grandi maestri lascerà ancora più spazio alle singole opere, raccontate attraverso riprese immersive e il commento dei maggiori studiosi e storici dell'arte italiana. Dopo Giotto il secondo appuntamento sarà con Guercino. Il pittore di Cento realizzò le sue opere con grandissima disinvoltura e fluidità, consegnandoci un’atmosfera irreale e magica con suggestivi contrasti fra luci e ombre. Lo scrittore e traduttore Daniele Benati, e Barbara Ghelfi, dottoressa in storia dell’arte, racconteranno uno dei maggiori artisti del Seicento, dalle sue origini di straordinario autodidatta all’ultima fase più classicheggiante della sua carriera, passando per gli esordi fulminanti ed esplorando numerosi capolavori. Sul piccolo schermo sarà possibile cogliere i dettagli di San Rocco gettato in prigione (1618), dipinto nell’Oratorio di San Rocco a Bologna, La vestizione di San Guglielmo (1620) e ancora la decorazione della cupola nel Duomo di Piacenza. Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.itSu ITsART FORMIDABILE BOCCIONI Scrittore, giornalista, illustratore, Umberto Boccioni diventa pittore seguendo un percorso non convenzionale. La svolta arriva il 21 febbraio 1910 quando a Milano conosce il poeta Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo. Ne abbraccia la rivoluzione traducendo la poesia in arte e dando un apporto fondamentale alla più importante Avanguardia artistica del primo Novecento in Europa, il Futurismo. A 140 anni dalla nascita di Umberto Boccioni è disponibile in esclusiva su ITsART il documentario inedito dal titolo FORMIDABILE BOCCIONI scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, un’opera prodotta da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura. James M. Bradburne, Karole P.B. Vail, Danka Giacon, gli storici Ester Coen e Niccolò D’Agati, lo storico Giordano Bruno Guerri, il biografo Gino Agnese e la scrittrice Marella Caracciolo Chia sono solo alcune delle autorevole voci che raccontano la vita e le opere dell’artista futurista. Arte tv omaggia Joan Mitchell e l'arte dell'astrattismo Dal 23 ottobre è disponibile su Arte tv un documentario dedicato a Joan Mitchell, una delle più grandi pittrici americane del secondo Dopoguerra, una delle poche donne ad affermarsi nel mondo dell'espressionismo astratto. A metà strada tra la scuola astratta americana e l'impressionismo di Claude Monet, Mitchell si afferma come un'artista-cardine del XX secolo nonché potente figura femminile accanto a Pollock, Motherwell, Kline, de Kooning e Rauschenberg. La sua opera è stata riconosciuta e apprezzata sia a New York negli anni Cinquanta che a Parigi, luogo dove visse l'appassionata storia d'amore con il collega Jean-Paul Riopelle e dove si spense nel 1992. Leggi anche:• "Formidabile Boccioni". Il genio futurista in un docufilm• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia

Nove splendidi dipinti da riconoscere nel film “L’ombra di Caravaggio”

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Inquieto e ribelle, scandaloso e devoto, impulsivo e geniale: dal 3 novembre Caravaggio si racconta al cinema in un film nuovo di zecca. Diretto da Michele Placido, coprodotto dalla francese Goldenart con Rai Cinema e distribuito in Italia da 01 Distribution, L’ombra di Caravaggio sbarca sul grande schermo con un cast di nomi ben noti al pubblico: da Riccardo Scamarcio, nei panni dell’artista, a Louis Garrel, che interpreta l’Ombra, l’agente segreto del Vaticano che avrà su di lui potere di vita o di morte, fino a Isabelle Huppert, Micaela Ramazzotti, Vinicio Marchioni, Lolita Chammah, Moni Ovadia, Alessandro Haber e a Placido stesso nel ruolo del Cardinal Del Monte. In questo avventuroso racconto tra storia e immaginazione, una parte di rilievo spetta agli immortali dipinti di Caravaggio, e non potrebbe essere altrimenti. Alcuni li riconosceremo nella bottega del pittore o nei palazzi di facoltosi committenti, altri  - la maggior parte - si materializzeranno sullo schermo come tableau vivant, a sottolineare la rivoluzionaria osmosi tra arte e realtà con la quale Michelangelo Merisi mise in subbuglio la Roma dell'epoca. Scovarli lungo i 120 minuti del film non sarà difficile, specie tenendo a mente la piccola guida che segue. Ecco la lista dei dipinti completa di immagini. Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 - Porto Ercole, 18 luglio 1610), Ragazzo morso da un ramarro, 1597 circa, Olio su tela, 65.8 x 52.3 cm, Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto LonghiRagazzo morso da un ramarroÈ uno dei primi capolavori di Caravaggio, che lo realizzò poco tempo dopo il suo arrivo a Roma. Gli storici discutono ancora su chi fosse il committente dell’opera, della quale esistono due versioni: una di proprietà della National Gallery di Londra, l’altra conservata presso la Fondazione Roberto Longhi di Firenze. Protagonista della tela è un giovane con una rosa tra i capelli, sorpreso dal morso del rettile che spunta all’improvviso da una bellissima natura morta con fiori, frutti e un vaso pieno d’acqua. Un tremito scuote le membra e il volto del ragazzo, che si contrae in un’espressione di dolore. Alcuni hanno riconosciuto nel dipinto una complessa trama di simboli legati all’amore e al desiderio. Certamente esso è debitore agli studi di Leonardo sui moti dell’anima, mentre cita direttamente un prezioso disegno a carboncino realizzato da Sofonisba Anguissola circa 40 anni prima, dal titolo Fanciullo morso da un gambero. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Scudo con testa di Medusa, 1598 ca., Galleria degli Uffizi, FirenzeScudo con la testa di MedusaUn’espressione di orrore si dipinge sul volto di Medusa reciso da Perseo: la bocca spalancata in un urlo, gli occhi allucinati, il sangue che fuoriesce in un fiotto dal collo mozzato, i serpenti che si agitano sul capo del mostro descrivono il momento culminante del mito greco. Al di là delle apparenze, pare che un tempo l’immagine della Gorgone portasse bene, in quanto simbolo di prudenza e di saggezza. Caravaggio era ancora giovane quando la dipinse, ma riuscì a creare un’opera straordinaria. Con magistrale uso delle luci annullò la convessità del supporto, uno scudo di legno, dando l’impressione che la testa fluttuasse sul fondo verde scuro. Anche di quest’opera esistono due versioni, entrambe realizzate dal Merisi: la prima è conservata in una collezione privata italiana, la seconda si trova agli Uffizi. A consegnarla personalmente a Ferdinando de’ Medici nel 1898 fu il Cardinal del Monte, che con un soggetto molto amato dai signori di Firenze volle mostrare al granduca le abilità artistiche del suo protetto. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Madonna dei Palafrenieri , 1605-1606, Roma, Galleria Borghese Madonna dei PalafrenieriOggi appare semplicemente come un capolavoro ma, come per molte opere di Caravaggio, ai tempi della sua realizzazione questo dipinto fu al centro di accese polemiche. Inizialmente destinato alla Basilica di San Pietro, e precisamente alla cappella dei palafrenieri, patrizi romani che godevano del privilegio di condurre per le redini l’asino e il cavallo bianco del papa, la tela fu rifiutata con grande clamore. Come mai? Dalla disputa teologica su chi, tra la Vergine e il Bambino, dovesse schiacciare il diabolico serpente, al seno scoperto di Maria, fino alle contestazioni sulle sembianze di Sant’Anna (la protettrice dei palafrenieri), i pretesti non mancarono. E ai romani non doveva essere sfuggito un ultimo particolare: la Madonna somigliava incredibilmente a Maddalena Antognetti detta Lena, modella e amica di Caravaggio dalla reputazione controversa. Guarda caso, Lena aveva un figlio su per giù dell’età del Bambino raffigurato nel quadro, che i commentatori giudicarono troppo cresciuto per mostrare le nudità. A qualcuno, tuttavia, il dipinto piacque: chi si avvantaggiò del rifiuto fu il grande collezionista Scipione Borghese, che secondo i più maligni alimentò le polemiche per impadronirsene.Michelangelo Merisi da Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, Cappella Cerasi, Santa Maria del Popolo, RomaConversione di San Paolo e Crocifissione di San PietroIl 24 settembre del 1600 Caravaggio è incaricato da monsignor Tiberio Cerasi di realizzare due grandi dipinti su tavola per la cappella dove sarà sepolto, nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo. L’artista si mette all’opera e in poco tempo termina il lavoro. Ma la cappella non è ancora pronta e il prelato passerà presto a miglior vita. La faccenda si ingarbuglierà ulteriormente: oggi, infatti, nella Cappella Cerasi ci sono sì due Caravaggio raffiguranti la Conversione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro, come ordinato dal monsignore, ma non sono quelli visti da Cerasi. Cosa accadde nel frattempo? Forse fu l’artista stesso a cambiare programma. I quadri che ammiriamo in Santa Maria del Popolo sono due esempi straordinari delle innovazioni pittoriche del Merisi: il trattamento espressivo della luce, il realismo con cui sono ritratti i personaggi, il dinamismo compositivo della Crocifissione e, al contrario, la drammatica staticità della Conversione ci parlano di un linguaggio pittorico ormai maturo, pronto a lasciare il segno nella storia. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Amor vincit Omnia, Gemäldegalerie, Staatliche Museum, BerlinoAmor vincit omnia“L’Amore trionfa su tutto”, recita il titolo di questo quadro conservato allo Staatliche Museum di Berlino, citando un passo di Virgilio. Il committente Vincenzo Giustiniani, facoltoso collezionista di origini genovesi e storico mecenate di Caravaggio, lo mostrava solo a ospiti selezionati. Per il resto del tempo, l’immagine irriverente di Cupido restava coperta da un drappo verde: ritenendolo il quadro migliore della raccolta, Giustiniani sosteneva che con la sua bellezza avrebbe offuscato gli altri. A posare per Caravaggio nella tela di Berlino fu Francesco Boneri detto Cecco, il suo allievo favorito (e amante, secondo alcuni), vestito solo di un paio di ali d’aquila prestate al pittore dall’amico Orazio Gentileschi. Ai piedi del ragazzo riconosciamo i simboli delle arti e delle scienze sconfitte dall’Amore, in primis la musica e l’astronomia, due passioni del marchese. Anticonvenzionale e malizioso, il dipinto testimonia l’apertura intellettuale di Giustiniani, uno dei personaggi più colti nella Roma del tempo.Michelangelo Merisi da Caravaggio, Morte della Vergine. Parigi, Louvre Morte della VergineL’ultima opera dipinta a Roma da Caravaggio fu anche la più scandalosa. Commissionata dall’avvocato Laerzio Cherubini per la sua cappella in Santa Maria in Trastevere, la grande pala d’altare ambienta la scena della morte di Maria in una stanza misera e spoglia, dove un drappo scarlatto simile a un sipario si alza svelando il corpo della Madre di Dio malamente composto su un giaciglio di fortuna. Vestita di rosso e non di nero come prescritto dalla tradizione, Maria ha il ventre gonfio, il volto livido, i piedi nudi e i capelli in disordine. Sembra che per dipingerla il Merisi avesse usato come modello il cadavere di una prostituta annegata nel Tevere. Per i Carmelitani Scalzi, responsabili di Santa Maria in Trastevere, era veramente troppo. La tela fu rifiutata, ma trovò immediatamente un nuovo acquirente: il duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga, ben consigliato da Rubens che aveva subito riconosciuto il capolavoro. In seguito il quadro entrò nelle collezioni di Carlo I d’Inghilterra e poi del re di Francia Luigi XIV. Oggi si trova al Louvre. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Decollazione di San Giovanni Battista, 1608, Olio su tela, 520 x 361 cm, Valletta, Concattedrale di San Giovanni Decollazione di San Giovanni BattistaIn fuga dalla condanna a morte per decapitazione che pendeva sulla sua testa per l’omicidio di Ranuccio Tommasoni, Caravaggio approda a Malta: il suo obiettivo è diventare cavaliere dell’Ordine di Gerusalemme, cosa che gli garantirebbe l’immunità. Ed è proprio per l’Ordine che dipinge la sua tela più imponente (circa tre metri e mezzo per cinque), tuttora conservata nella Concattedrale di San Giovanni a La Valletta. Diversamente dal solito, in questo quadro il rapporto tra figure e spazio è invertito a favore di quest’ultimo, così come inconsueta è la rappresentazione dell’episodio evangelico. Caravaggio sceglie infatti di concentrarsi sul momento immediatamente precedente la decapitazione del santo, al cui destino si sente vicino per ovvi motivi. La scena si svolge in una prigione, dove l’aguzzino che ha appena ucciso il Battista si accinge a decapitarlo con la misericordia, il pugnale che serviva a finire gli avversari feriti. Tra luci e ombre di straordinaria potenza evocativa, nel sangue di San Giovanni si distingue la scritta “f. Michel Ang.”, ovvero la firma di Caravaggio preceduta dal titolo “fra”, l’appellativo dato ai Cavalieri di Malta.Michelangelo Merisi da Caravaggio, Davide con la testa di Golia, 1609-1610, Olo su tela, 100 x 125 cm, Roma, Galleria BorgheseDavide con testa GoliaQuando dipinse questo quadro, Caravaggio si trovava a Napoli, in fuga da Roma dove pendeva sulla sua testa un’accusa di omicidio. Dopo aver scelto autonomamente il soggetto, il pittore affidò il dipinto al cardinale Scipione Borghese, quale dono da recapitare a Papa Pio V per ottenere il perdono e tornare finalmente a casa. Il pittore è stanco e invecchiato: lo vediamo nel volto di Golia, nel quale avrebbe raffigurato il proprio autoritratto. Secondo alcuni studiosi gli autoritratti presenti nel quadro sarebbero addirittura due: nel David l’artista avrebbe rappresentato se stesso da giovane, non ancora toccato dal peccato. Il dono, in ogni caso, fu efficace solo per metà: la grazia fu accordata ma Caravaggio, quasi al termine del viaggio verso Roma, morì sulla spiaggia di Porto Ercole in circostanze mai chiarite.Leggi anche:• Riccardo Scamarcio è Caravaggio nel nuovo film di Michele Placido