Quanto ci metteremo a dimenticare anche il nuovo Avatar?
Dal primo Avatar sono passati ormai talmente tanti anni che nemmeno James Cameron si ricorda più di cosa parlasse quel film. Forse è per questo che il regista ha impiegato tredici anni per girare un sequel che racconta esattamente la stessa storia del primo film. È questa l’unica spiegazione razionale che sono riuscito a darmi dell’esistenza di Avatar – La via dell’acqua: ritorno al passato, reboot di sé stesso, prosieguo di un racconto che nessuno ricorda più. Cameron è evidentemente ossessionato da questa storia, un po’ come Orson Welles era ossessionato da Don Chisciotte e Sergio Leone dall’assedio di Leningrado. Cameron è ossessionato da questa storia di pianeti verdi e alieni blu al punto da essere disposto a raccontarla ancora e ancora, sempre uguale, con ogni nuova tecnologia e a ogni nuova generazione. L’unica vera differenza che riesco a trovare tra il giorno in cui sono andato a vedere Avatar e quello in cui sono andato a vedere Avatar – La via dell’acqua, infatti, è che nel primo caso avevo 19 anni e indossavo con l’entusiasmo che quell’età mi consentiva
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