ll merito è una tirrania dei nostri tempi (che lascia indietro i più deboli)
La retorica meritocratica è tossica e pericolosa, più di quanto immaginiamo. A schiarirci le idee, dopo l’aggiunta della parola merito al Ministero dell’Istruzione, ci sono due saggi che vale la pena di rileggere proprio oggi
Foliage
Da adesso in poi non avremo più il Ministero dell’Istruzione, a cui eravamo ormai abituati. Per il nuovo esecutivo, guidato da Giorgia Meloni, evidentemente il nome non era abbastanza completo e così la dicitura è stata trasformata in “Ministero dell’Istruzione e del Merito”. A primo impatto, il termine potrebbe essere associato a una connotazione innocua e persino positiva: un sistema scolastico che premia chi si impegna di più. Eppute basta rifletterci qualche secondo di più per rendersi conto che in realtà si tratta di un’idea malsana che non fa altro che produrre disuguaglianze all’interno della nostra società.
Premiare bambini e ragazzi in base al merito significa costringerli a vivere il mondo della scuola in maniera competitiva, in preda ad una costante ansia da prestazione. Ma da dove nasce il termine meritocrazia e perché celebrare questo concetto può rivelarsi molto pericoloso?
Perché la meritocrazia è un’arma tossica
A inventare il termine meritocrazia nel 1958 fu lo scrittore e sociologo britannico Micheal Young, autore di “The raise of meritocracy”, un saggio critico e illuminante, ambientato nel 2033, in cui viene mostrata un’Inghilterra alle prese con la cosiddetta “riforma del merito”: la classe dirigente governa ispirandosi al principio dell’uguaglianza delle opportunità e dell’intelligenza misurata scientificamente, ma – invece di rafforzare la democrazia – tutto ciò
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