Chi ha paura del 9 novembre? Valditara fa bene a ricordarlo: il Muro crollato è uno spartiacque
Siamo ormai al punto che se un ministro intende celebrare le vittime del comunismo nel giorno della caduta del Muro di Berlino deve dapprima declinare il proprio dna antifascista. Chiedere per conferma al responsabile dell’Istruzione Giuseppe Valditara, costretto – in un’intervista a Repubblica – a ricordare di essere «figlio di un partigiano della Brigata Garibaldi» per parare le polemiche scatenate dalla sua lettera agli studenti in occasione del 9 novembre. Per non dire di qualche buontempone che lo ha attaccato per aver ricordato solo i «danni» del comunismo e non anche quelli del fascismo. Che è un po’ come accusare l’Anpi di festeggiare il 25 Aprile senza ricordare gli infoibati di Tito. Ma lasciamo stare.
Polemiche sulla lettera di Valditara agli studenti
Quel che invece l’iniziativa di Valditara fa emergere è il nervo scoperto della cultura comunista, tuttora egemone in Italia, e la sua indisponibilità a fare i conti con il passato (in verità anche con il presente, visto che il tacco rosso schiaccia ancora qualche miliardo di infelici sulla faccia della terra). Non sorprende. Il Pci prima e i suoi legittimi eredi poi hanno imposto la narrazione secondo cui il comunismo italiano è altra cosa rispetto ai modelli del cosiddetto socialismo realizzato. Innanzitutto perché ha combattuto il fascismo e poi perché non ha mai tentato la via insurrezionale per la conquista del potere.
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Valditara ha toccato un nervo scoperto
Il vero capolavoro in tal senso è l’equiparazione tra antifascismo e democrazia, completamente abusiva sul piano dell’esperienza storica. Infatti Stalin era antifascista, ma di certo non democratico. E come lui tutti quelli, compreso Togliatti, che ne alimentavano il culto di «piccolo padre». Quanto alla rinuncia alla via insurrezionale, quel che i comunisti di ieri e di oggi non dicono è che non fu una
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