Che fine ha fatto l’auto ad aria compressa? Ora sappiamo perché la rivoluzione di Tata Motors si è rivelata un fallimento

Nella metà degli anni 2000, Tata Motors, una delle più grandi aziende automobilistiche indiane, aveva un obiettivo rivoluzionario: sviluppare un’auto alimentata ad aria compressa. Il progetto, nato da una collaborazione con Motor Development International (MDI), sembrava la risposta perfetta ai problemi di inquinamento globale e all’aumento dei costi dei carburanti. Nel 2007, Tata annunciò una...

Tata Motors, in collaborazione con MDI, cercò di sviluppare un’auto ad aria compressa: un veicolo ecologico senza emissioni, ma problemi tecnici, costi elevati e la concorrenza delle auto elettriche decretarono la fine di questo sogno ecologico

@Wikimedia Commons

Nella metà degli anni 2000, Tata Motors, una delle più grandi aziende automobilistiche indiane, aveva un obiettivo rivoluzionario: sviluppare un’auto alimentata ad aria compressa. Il progetto, nato da una collaborazione con Motor Development International (MDI), sembrava la risposta perfetta ai problemi di inquinamento globale e all’aumento dei costi dei carburanti.

Nel 2007, Tata annunciò una partnership storica con la società lussemburghese MDI, guidata dall’ex ingegnere di Formula 1 Guy Nègre. MDI aveva già sviluppato prototipi innovativi come la MiniCAT, una piccola city car capace di funzionare esclusivamente ad aria compressa. L’idea di un’auto completamente ecologica, senza emissioni di gas inquinanti, attirò subito l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, tanto da sembrare una svolta epocale per l’intero settore automobilistico.

Nel corso degli anni, il concetto di auto ad aria compressa ha suscitato notevole interesse, con l’AirPod di MDI al centro


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