All’anima del commercio. La crisi del rapporto Germania-Cina
E pensare che fino a poco tempo fa per la Germania era un porto sicuro, fonte di reddito e sostegno per le proprie imprese. Ora però, qualcosa si è inceppato e la Cina sembra essere diventata per Berlino più un cruccio che altro e non è un caso se Olaf Scholz ha deciso di essere il primo leader occidentale a tornare in Cina dall’inizio della pandemia, programmando una visita da Xi Jinping con tutto il mondo industriale tedesco. Fino ad oggi, la seconda economia globale ha rappresentato per l’industria tedesca una fonte di domanda primaria: componenti, tecnologia, motori. Il che garantiva alle imprese solide entrate.
Ora però, il rallentamento ormai conclamato della Cina, il collasso del mattone (che vale il 30% del Pil cinese) e la folle strategia zero-Covid hanno messo la mordacchia al Dragone, che non compra più come una volta, inguaiando la Germania. Come ha scritto il Financial Times, tanto per fare un esempio pratico, per più di 20 anni, Oliver Betz ha prodotto sensori per i produttori di motori cinesi dalla sua base a Monaco. Ma negli ultimi mesi le vendite della Systec Automotive in Cina sono crollate, scendendo di tre quarti.
Perché? La colpa, secondo gli imprenditori tedeschi, che insieme a quelli italiani sono la spina dorsale dell’Europa, è della crescita più lenta, della strategia zero-Covid di Pechino e di una sempre maggiore preferenza per l’acquisto di prodotti locali, a discapito della manifattura europea. L’esperienza di Betz sta infatti diventando sempre più comune tra le piccole e medie imprese tedesche. Altro esempio, le aziende del Mittelstand si rendono conto sempre più che non possono fare affidamento sulla domanda dei colleghi cinesi come facevano una volta. Insomma, per dirla con le parole di Jörg
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