Pecorino Romano Dop, lievita il prezzo e raggiunge gli oltre 13 euro al chilo
Vola oltre i 13 euro al chilo il prezzo del Pecorino Romano Dop, il formaggio italiano – prodotto al 95% in Sardegna a cui si aggiunge qualche azienda in Toscana e Lazio – tra i più venduti negli Stati Uniti, principale mercato di esportazione con il 52% di quello destinato all’estero, secondo quanto si legge su Ansa.
Il prezzo ha iniziato a lievitare a novembre del 2020, ma già a dicembre del 2021 aveva raggiunto le quotazioni record di 9,38 euro al Kg che non si vedevano dal 2015. Poi la crescita esponenziale da aprile del 2022 con 11 €/kg e ora che si arriva a punte tra 12,80 e 13.50 euro /kg è stato battuto ogni record.
Livelli mai raggiunti in precedenza e dovuti essenzialmente a «un combinato disposto di diversi fattori – dice all’Ansa il presidente del Consorzio di Tutela del pecorino Romano Dop, Gianni Maoddi – una produzione limitata (-3,1% sull’annata precedente/dati Clal – oltre 1,6 mln di litri di latte in meno destinate alla produzione di febbraio/dati Ismea, ndr) una migliorata qualità, azioni promozionali e una consuetudine, nata nel periodo della pandemia, per l’utilizzo del prodotto in alcuni piatti della tradizione come la carbonara o la cacio e pepe. Oggi il cambio euro-dollaro consente a consumatore statunitense di sentire meno gli aumenti dei prezzi. Se il livello dei consumi si manterrà a questo livello la produzione 2022 non sarà sufficiente ad arrivare a maggio 2023 quando verrà commercializzato il formaggio che inizierà ad essere prodotto da ottobre e potremmo anche assistere a una rottura di stock».
Attualmente il margine di guadagno resta ma c’è anche il rovescio della medaglia: l’aumento del costi imballaggi, per i concimi e l’energia e la carenza di manodopera nelle campagne dove operano i pastori che conferiscono il latte di pecora che quest’anno viene pagato con i conguagli tra 1,30 euro al litro e punte dell’1,45 euro/l. «Il valore del prezzo finale del formaggio è alto, il momento favorevole, ma tutti i costi di produzione, dall’allevamento alla trasformazione, sono in aumento e questo ci preoccupa per il futuro» – osserva Maoddi, che ad agosto aveva lanciato l’allarme sullo spopolamento di campi.
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