Mahsa ha scoperchiato il vaso di pandora, c’è una generazione di ragazze in Iran che dice basta
Cantare. Ballare. Essere sposate e viaggiare da sole. Andare allo stadio al di fuori delle partite della nazionale. Far scivolare i capelli tra le dita e il vento in pubblico.
Queste sono solo alcune delle cose che le donne iraniane ancora oggi, nel 2022, non possono fare. E se le limitazioni alla libertà femminile non sono nuove nel Paese degli Ayatollah, sembra essere maturata una consapevolezza nelle nuove generazioni di giovani e giovanissime donne che rende inevitabile lo scontro con il regime.
Proprio dall’obbligo di indossare il velo – a partire dai 9 anni – è scaturita la drammatica vicenda di Mahsa Amini: la giovane 22enne, di origine curda, si trovava in vacanza con la famiglia a Teheran quando, il 13 settembre scorso, veniva arrestata dalla “polizia della morale” per aver indossato in maniera scorretta l’hijab. Le percosse degli agenti – riportate da svariati testimoni – le causano un’emorragia cerebrale e dopo diversi giorni in coma, la ragazza muore.
Il fatto non passa inosservato. Da subito si propagano le proteste in tutto il Paese, capeggiate da coraggiose manifestanti che a testa scoperta tagliano ciocche di capelli e fanno roteare gli hijab in segno di protesta. Non si fa attendere la dura repressione del regime con almeno – secondo quanto riporta la Ong Iran Human Right- 92 persone sono uccise nel corso delle proteste tanto da far lanciare ad Amnesty international l’allarme sulla tutela del diritto di protesta.
A sostegno delle sorelle iraniane si sono sollevate piazze in migliaia di città in tutto il mondo tra cui, in Italia, Roma, Milano, Firenze e Bologna. Al grido di “Donna. Vita. Libertà” si chiede a gran voce lo stop alle violente repressioni delle manifestazioni in Iran e si esprime sostegno alla battaglia per