Nessuna via o piazza dedicata ai deportati viterbesi; solo pietre d’inciampo
Non hanno ancora una piazza o una via a loro dedicata. Solo tre pietre d’inciampo per i tre viterbesi deportati e uccisi nei campi di concentramento. Le pietre d’inciampo sono incastonate in tre sampietrini davanti alla loro casa, in via della Verità, al civico 19.
Le pietre – ciascuna costituita da una targa in ottone sulla quale sono incisi i dati anagrafici delle vittime e il luogo in cui morirono – furono apposte l’otto gennaio 2015 dall’artista tedesco Gunter Demning, che avviò il progetto a Colonia, per non dimenticare le persone che persero la vita a causa della Shoah.
Da allora sono state installate più di 71.000 pietre in molti Paesi che erano stati occupati dai Nazisti nel corso del secondo, tragico conflitto mondiale.
Oggi è il giorno della Memoria. Si ricorderanno anche Vittorio Anticoli, Letizia Anticoli e Angelo Di Porto, che persero la vita ad Auschwitz nel 1944, ma, nella Città dei Papi, mancano ancora i loro nomi in parchi, vie e piazze.
Poesia dedicata ai deportati di Viterbo e di ogni città.
27 gennaio
Me lascio stregugnà da la tu billezza,
Veterbo mia!
Te guardo co’ l’occhie de na sposa
o forze solo co’ addosso lo scampolo
de ‘n velo de ‘n viaggio mai fatto.
Fo ‘n sospiro e ‘l mi fiato appanna
li vetri de la mimoria.
Me refuggio drento le tu pupille
pi cercà, ma le ruine di ‘l tempo,
brifacole e profferle riccamate.
‘L tempo adè solo ‘n passo
senza ppiù ‘mpronte e senza merèa.
S’azzitta la tramontana ma ‘l petto mio,
ma le lacrime so’ gocce de dolore ma la via
quanno cascano mute ma le sampietrine de la mi città.
Deve finì tutto pe aricomincià daccapo
ma ‘l posto ppiù brutto de la terra,
ch’adè ‘l core de cert’ommine senza pietà.
‘L sole de l’ arba tajia de straforo
la mi loggia ‘ndo ha già svernato la viola:
sta a sgaggià sopra ‘l griggio de ‘l peparino, millì a la Verità, abbraccicata da le mura.
Tuttambotto ‘nciampeco ne la mimoria
de na targa.
Storie passate de famije vetorbese dipurtate: Anticoli, Di Porto… vennevano
forcelle e pettinini.
Silvano, ‘l fijarello, s’adè sarvato,
drento a ‘l core de mamma Letizia,
che nun adè ppiù aritornato.
Quanno passi millì, su ‘l sampietrino ‘nciampicatoro, ‘ndo so’ ‘ncisi li nomi,
fermete ‘n tantino, nun annà de prescia,
spetta.
Forze quill’anima binedetta te vole aricordà
de guardà, magara de straforo,
li nomi scritti ma ‘l sampietrino…
e che quil fijo possa essa pure
‘l tu bambino.
Salisce ‘l fume griggio d’un focolaro
su la storia de la Sora Reale, de Rita e de Silvano, de la su ma e de ‘l su pa, morti luntano.
Tutto ancò riposa:
sta città, ‘l silenzio, le penziere e l’occhie de na sposa,
che c’ha addosso lo scampolo d’un velo de ‘n viaggio mai fatto.
(Anna Maria Stefanini)
Mi lascio stregare dalla tua bellezza, Viterbo mia.
Ti guardo con gli occhi di una sposa
o forse solo con indosso lo scampolo di un velo di un viaggio mai intrapreso.
Faccio un sospiro e il mio fiato appanna
i vetri della memoria.
Mi rifugio dentro ai tuoi occhi
per cercare, fra le rovine del tempo,
favole e profferli ricamati.
Il tempo è solo un passo, senza impronte e senza ombra.
Tace la tramontana nel mio petto,
ma le lacrime sono gocce di memoria,
quando cadono silenziosamente sui sampietrini della mia città.
Deve finire tutto per ricominciare
dall’inizio, nel posto più brutto della terra
che è il cuore di alcuni uomini senza pietà.
Il sole taglia di traverso il mio balcone, dove la viola è uscita dall’inverno.
Si mette in mostra
sopra il grigio del peperino, abbracciata dalle mura, lì a porta della Verità.
Improvvisamente inciampo nella memoria di una targa: storie passate di famiglie viterbesi deportate.
Anticoli, Di Porto vendevano merceria.
Silvano, il figlio, si è salvato nel cuore di mamma Letizia, che non è più tornato.
Quando passi lì, sulla pietra d’inciampo,
dove sono incisi i nomi, fermati un po’,
non andare di fretta…aspetta.
Forse quell’anima benedetta ti vuole ricordare di guardare, magari di sfuggita, quella targa e i nomi scritti sul sampietrino. Ti vuole forse anche ricordare che quel bambino avrebbe potuto essere il tuo.
Sale il fumo grigio dal focolare
sulla storia di Donna Reale, di Rita, di Silvano, di sua madre e di suo padre,
morti lontano.
È l’alba e tutto ancora riposa: questa città, il silenzio, i pensieri e gli occhi di una sposa, che ha ancora indosso lo scampolo d’un velo di un viaggio mai intrapreso.