Perché il Pd (non) è più un partito plurale. Scrive Merlo
Come si suol dire in gergo, non tutto vien per nuocere. Il “nuovo Pd”, come lo definiscono i capi e i dirigenti delle infinite correnti di quel partito, finalmente punta a diventare il partito della sinistra italiana. O meglio, il partito che si candida ad essere l’interprete esclusivo del tradizionale e storico filone della sinistra italiana, ovvero la filiera del Pci/Pds/Ds. Certo, esiste la concorrenza della “sinistra per caso” , interpretata egregiamente dalla versione populista e trasformista dei 5 Stelle.
Una minaccia insidiosa perché non avendo una cultura politica definita alle spalle e un progetto politico altrettanto chario, possono cavalcare qualunque spinta della società per marcare la propria natura “progressista” e di “sinistra”. Per cui possono essere contemporaneamente
ecologisti, poi pacifisti, poi assistenzialisti, poi pauperisti e poi di nuovo il contrario di tutto a seconda di ciò che si decide di cavalcare di volta in volta. Una minaccia, comunque sia, indubbiamente pericolosa ai fini della rappresentanza di alcuni segmenti della società, come
hanno confermato le elezioni dello scorso 25 settembre e come confermano quotidianamente i vari sondaggi sul peso dei
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