Pd, Bonaccini o Schlein il finale sembra già scritto: comunque vada sarà un disastro
E se Bersani ci avesse visto giusto evocando «rischi di scissione» nel Pd? L’interrogativo è tutt’altro che fuori luogo dopo che una settimana fa il sindaco di Bergamo Giorgio Gori annunciò, tra il lusco e il brusco, che avrebbe lasciato i dem se a vincere il congresso fosse stata Elly Schlein. L’aria che tira da quelle parti, insomma, non è tra le più rassicuranti. A maggior ragione se, come scrive Federico Geremicca sulla Stampa, dal giorno delle elezioni politiche ad oggi il calo del Pd nei sondaggi oscillerebbe tra due e mezzo e punti tre. Una tendenza al salasso che neanche il congresso sembra in grado di invertire. E questo tanto che vinca Stefano Bonaccini tanto che prevalga la Schlein, giusto per limitarsi ai candidati più in salute dal punto di vista della conta interna.
La Schlein incarna l’ala movimentista
Del resto, è proprio la personalità dei due rivali a rendere bene l’idea di come il Pd si accinga ad affrontare uno dei tornanti più impegnativi della propria storia. A dispetto della circostanza che trova i due affiancati alla guida dell’Emilia-Romagna, lui presidente, lei vice. Lo descrivono come un sodalizio senza scossoni. Eppure non potrebbero incarnare candidati e progetti più diversi. Pragmatico il primo, movimentista la seconda. Bonaccini è l’emblema della solidità del “partito degli amministratori e del territorio“, legati a filo doppio alla Ditta di bersaniana memoria. La seconda è il distintivo del Pd Ztl, tutto globalismo, gretismo e diritti civili. Messa così, non v’è chi non veda come si tratti di due proposte tra loro opposte.
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Da qui il rischio che difficilmente la fazione soccombente al congresso si acconci a fare da minoranza interna senza accarezzare l’idea della scissione. Già, quanti Gori sono già
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