Le atlete transgender e intersex hanno davvero dei vantaggi nello sport?
«Partiamo dal presupposto che la specie umana, come le altre specie di mammifero, non è binaria, quindi tutto ciò che cerca di catturare un binarismo di genere, compresa ogni regolamentazione sportiva, è destinato a fallire». Della nostra lunga chiacchierata queste sono sicuramente le parole che mi sono rimaste più impresse.
Silvia Camporesi, bioeticista con un background interdisciplinare in biotecnologie e filosofia della medicina, è l’autrice di Partire (s)vantaggiati? Corpi bionici e atleti geneticamente modificati nello sport, edito da Fandango Libri all’interno della nuova collana Icaro, un libro che analizza quando un vantaggio può essere considerato iniquo nello sport, e con quali implicazioni per le politiche di regolamentazione delle tecnologie assistive e genetiche volte a potenziare le capacità performanti. Ho avuto il piacere di intervistarla per cercare di comprendere non solo cosa rappresenti un vantaggio nello sport, ma anche per capire se le numerose polemiche legate ai livelli di testosterone nelle atlete transgender e intersex, o
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