‘Divine Symmetry’, quando David Bowie conteneva moltitudini
Cinque anni dopo aver pubblicato il suo primo capolavoro, ovvero l’album Hunky Dory grazie al quale è passato dall’essere consierato meteora allo status di messia dell’era spaziale, David Bowie ha rilasciato una peculiare dichiarazione mitopoietica. In un’intervista del 1976 per Melody Maker, diceva che la sua Song for Bob Dylan, una straordinaria presa per i fondelli che lui stesso aveva precedentemente definito la descrizione di come «certa gente» vedeva Dylan, definiva ciò che lui stesso voleva fare in campo rock. «Mi sono detto: “Ok, se non vuoi farlo tu, ci penserò io”. Percepivo un vuoto di leadership».
A giudicare dal box set Divine Symmetry – The Journey to Hunky Dory quelle parole di Bowie erano vere solo in parte. In realtà, stava ancora dissimulando il panico provato durante la realizzazione di Hunky Dory. La raccolta contiene cinque dischi di demo, session radiofoniche, un live raro e mix alternativi che dimostrano quanto disperatamente Bowie stesse cercando di ideare la mossa successiva. Era rimasto impantanato nelle sabbie mobili dello status di artista bizzarro e si era chiuso a riccio dopo il buco nell’acqua
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