Due nuovi studi si aggiungono alle crescente mole di ricerche che dimostrano come i test salivari siano una valida alternativa ai tamponi naso-faringei.
Non solo più pratici e meno invasivi. I test salivari sono molto sensibili nel rilevare il coronavirus, anche più dei tamponi naso-faringei. A raccontarlo sono due nuovi studi che confermano ulteriormente la crescente mole di prove che sostengono come la saliva sia un’ottima alternativa ai tamponi naso-faringei nel diagnosticare la Covid-19. In particolare, il primo lavoro, pubblicato su Scientific Reports e svolto dai ricercatori dell’Università di Singapore, evidenzia come questi test sarebbero particolarmente efficaci sia sugli asintomatici sia su chi ha una forma di Covid-19 lieve e una bassa carica virale.
Per capirlo, il team ha coinvolto un totale di 200 partecipanti in due diversi luoghi: un dormitorio pubblico, nel quale c’era chi aveva sviluppato sintomi di un’infezione respiratoria acuta (45 persone), e chi era asintomatico (104). E, il secondo, una struttura di assistenza, dove c’erano 51 casi di Covid-19 confermati in isolamento, ma che non richiedevano cure ospedaliere. Tutti i campioni sono stati analizzati tramite la tecnica della Pcr e del sequenziamento di nuova generazione (Ngs). Dalle successive analisi, i ricercatori hanno scoperto che i test salivari sono risultati positivi nel 62% dei casi, mentre i tamponi naso-faringei nel 44%. Sebbene ci siano alcuni limitazioni allo studio, come per esempio il fatto che i partecipanti erano per lo più giovani e asintomatici, o comunque con una forma lieve della malattia, i risultati mostrano come i test salivari siano molto sensibili nel rilevare il virus, anche in chi ha una bassa carica virale. “I nostri risultati sono coerenti con prove già pubblicate che mostrano come il campionamento della saliva sia una valida alternativa per lo screening e la diagnosi della Covid-19 e che può essere anche più sensibile del tampone naso-faringeo”, scrivono gli autori.
A confermare la sensibilità dei test salivari è stato anche il secondo studio, pubblicato dall’organizzazione International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine e svolto dai ricercatori dell’Università di Padova. In questo caso, sono stati esaminati 5579 dipendenti dell’ateneo, per un totale di quasi 20 mila campioni salivari, auto-raccolti in una provetta che contiene un batuffolo di cotone da masticare per un minuto, e analizzati con la tecnica della Pcr. Nell’arco di tempo della sperimentazione (11 settimane), sono stati identificati 62 campioni positivi di partecipanti che sono stati poi sottoposti entro 24 ore dal risultato al tampone naso-farigeo. Dalle analisi, i test hanno avuto una concordanza nel 98% dei casi.
Risultati, quindi, che dimostrano come questo sistema di prelievo della saliva sia più vantaggioso della raccolta di campioni naso-faringei sia in termini di procedure che di tempi. Un metodo, quello dell’auto-raccolta dei campioni salivari e test molecolare, che si è rivelato uno strumento efficace nella diagnosi precoce della Covid-19 in soggetti asintomatici e che ha permesso il rapido tracciamento e contenimento dei contatti, evitando così la diffusione del virus. “Entro 24 ore dal risultato positivo, è stato attivato il tracciamento dei contatti per dipendenti e studenti che frequentano lo stesso ambiente di lavoro”, commenta il coordinatore dello studio Mario Plebani. “Questa strategia ha permesso di identificare altri tre dipendenti positivi, che sono stati immediatamente isolati, impedendo così lo svilupparsi di focolai all’interno dell’Università”.
Fonte: Wired.it
Per capirlo, il team ha coinvolto un totale di 200 partecipanti in due diversi luoghi: un dormitorio pubblico, nel quale c’era chi aveva sviluppato sintomi di un’infezione respiratoria acuta (45 persone), e chi era asintomatico (104). E, il secondo, una struttura di assistenza, dove c’erano 51 casi di Covid-19 confermati in isolamento, ma che non richiedevano cure ospedaliere. Tutti i campioni sono stati analizzati tramite la tecnica della Pcr e del sequenziamento di nuova generazione (Ngs). Dalle successive analisi, i ricercatori hanno scoperto che i test salivari sono risultati positivi nel 62% dei casi, mentre i tamponi naso-faringei nel 44%. Sebbene ci siano alcuni limitazioni allo studio, come per esempio il fatto che i partecipanti erano per lo più giovani e asintomatici, o comunque con una forma lieve della malattia, i risultati mostrano come i test salivari siano molto sensibili nel rilevare il virus, anche in chi ha una bassa carica virale. “I nostri risultati sono coerenti con prove già pubblicate che mostrano come il campionamento della saliva sia una valida alternativa per lo screening e la diagnosi della Covid-19 e che può essere anche più sensibile del tampone naso-faringeo”, scrivono gli autori.
A confermare la sensibilità dei test salivari è stato anche il secondo studio, pubblicato dall’organizzazione International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine e svolto dai ricercatori dell’Università di Padova. In questo caso, sono stati esaminati 5579 dipendenti dell’ateneo, per un totale di quasi 20 mila campioni salivari, auto-raccolti in una provetta che contiene un batuffolo di cotone da masticare per un minuto, e analizzati con la tecnica della Pcr. Nell’arco di tempo della sperimentazione (11 settimane), sono stati identificati 62 campioni positivi di partecipanti che sono stati poi sottoposti entro 24 ore dal risultato al tampone naso-farigeo. Dalle analisi, i test hanno avuto una concordanza nel 98% dei casi.
Risultati, quindi, che dimostrano come questo sistema di prelievo della saliva sia più vantaggioso della raccolta di campioni naso-faringei sia in termini di procedure che di tempi. Un metodo, quello dell’auto-raccolta dei campioni salivari e test molecolare, che si è rivelato uno strumento efficace nella diagnosi precoce della Covid-19 in soggetti asintomatici e che ha permesso il rapido tracciamento e contenimento dei contatti, evitando così la diffusione del virus. “Entro 24 ore dal risultato positivo, è stato attivato il tracciamento dei contatti per dipendenti e studenti che frequentano lo stesso ambiente di lavoro”, commenta il coordinatore dello studio Mario Plebani. “Questa strategia ha permesso di identificare altri tre dipendenti positivi, che sono stati immediatamente isolati, impedendo così lo svilupparsi di focolai all’interno dell’Università”.
Fonte: Wired.it