Femminicidio, un fenomeno emergente: “Retaggio culturale?”
Il 2020 è stato l’anno in cui l’incidenza della componente femminile nel totale degli omicidi è stata del 40,6%, cioè la più alta di sempre.
L’89% dei femminicidi avviene in famiglia.
Di questi 81 omicidi, 51 sono stati commessi all’interno della coppia, raggiungendo anche in questo caso la percentuale record del 69,1%.
Non si può leggere questa triste statistica senza pensare che l’emergenza sia ancora nella fase più delicata. Il lockdown dovuto alla prima ondata della pandemia e l’attuale chiusura di diverse regioni ci fa pensare come il tema dei femminicidi debba essere considerato una delle priorità, e non dev’essere analizzato solamente un giorno all’anno.
Ogni tre giorni una donna viene uccisa dal convivente, dall’ex o da un parente.
Un’evidenza che spiega come il femminicidio non sia affatto un fenomeno emergente, ma come abbia accompagnato le trasformazioni della famiglia italiana degli ultimi decenni.
Il percorso di cambiamento inizia nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia.
In Italia, l’istituzione della potestà maritale era prevista nel Codice Civile nel 1975, tale normativa, finalmente, veniva abrogata il 19 maggio1975, con la riforma del diritto di famiglia.
A partire da quell’anno, si parla tra l’altro, non più di patria potestà ma di potestà genitoriale.
Una volta acquisita sul piano giuridico la parità delle donne, si trattava di garantire che, questa venisse anche praticamente attuata. Poiché le abitudini culturali e i modelli di comportamento in vigore nella società sono infatti talmente radicati che, la parità dichiarata per legge rischiava di rimanere solo sulla carta.
Purtroppo non basta una legge per superare la tradizionale divisione, basata sul sesso, dei ruoli e dei compiti all’interno della famiglia.
Divisione per cui la donna deve continuare ad occuparsi da sola della casa e dei figli anche quando svolge un’attività lavorativa.
La subordinazione della moglie faceva parte nell’antica Roma della cosiddetta patria potestas, dove vi era potere di condannare a morte la moglie, i figli e gli schiavi in caso vi fossero motivi ritenuti gravissimi. (spesso erano solo scuse per potersi liberare della moglie).
Tuttavia, in caso di maltrattamenti e percosse vi era la possibilità da parte della moglie di chiedere divorzio e restituzione della dote, tra l’altro il principio trovava applicazione anche nel Regno d’Italia postunitario.
Rispetto al diritto romano, i poteri del marito erano limitati, benché la moglie non potesse esercitare attività lavorativa senza il permesso del coniuge.
L’istituzione della potestà maritale prevedeva che l’uomo assumesse in una famiglia oltre alla patria potestà, anche un ruolo predominante rispetto a quello della moglie.
L’uomo avrebbe dunque il diritto di impartire ordini e divieti alla moglie, come anche il diritto di punirla. Il principio era saldamente ancorato, fino ad alcuni decenni fa, nella maggior parte delle legislazioni. Ancor oggi, vige in diversi Paesi.
Citate in giudizio per il fatto di aver picchiato la moglie, in tempi recenti sempre più persone di fede diversa da quella predominante nel paese in cui vivono si appellano al principio di libertà di religione per legittimare quello di potestà maritale.
Siamo arrivati al 2021, la donna oramai da anni ha acquisito in Italia la parità, la libertà di prendere le decisioni che ritiene giuste; sulla carta la donna dovrebbe subire meno, nella realtà, per quello che raccontano i media, poco è cambiato.
Come mai l’uomo, (non tutti per fortuna), sente ancora molto forte questo senso di proprietà verso la donna? E’ forse un pensiero atavico? Lo ha nel DNA? Lo ha ereditato? Oppure siamo noi donne, mamme, che diamo una educazione distorta ai figli maschi, facendo credere loro che, sono nella possibilità di fare e avere tutto? Nessun essere umano è padrone di un altro essere umano, è necessario imparare al rispetto dell’altro, uomo donna che sia.
Basta con queste violenze esercitate sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico e/o psicologico, fino alla schiavitù, e troppo spesso alla morte.
“La norma che rendeva valido penalmente il matrimonio riparatore fu abrogata nel 1986, mentre lo stupro divenne finalmente un reato contro la persona e non più contro la morale solo nel 1996”.
Rosanna De Marchi